Lettere della Guerra dall'epistolario di famiglia

Dal 25 luglio 1943 alla liberazione, lettere di civili e militari

a cura di Federico Adamoli



Appendice: Un'esperienza di guerra

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      Questa esperienza rientra nella vicenda dei 650.000 deportati italiani nei campi di concentramento e lavoro in Germania e Polonia nel settembre 1943, ai quali fu negato da Hitler il riconoscimento dello status di prigioniero di guerra, mentre furono classificati come Internati Militari Italiani (i cosiddetti IMI), categoria ignorata dalla Convenzione di Ginevra sui Prigionieri del 1929 (sulla carta da lettera per la corrispondenza utilizzata per comunicare con i familiari di Teramo la dicitura Kriegsgefangenenpost - Corrispondenza dei prigionieri di guerra - venne sovrapposta dal timbro Interniertenpost). Gli accordi intercorsi tra Mussolini e Hitler il 20 luglio 1944 prevedevano la smilitarizzazione abusiva dei militari italiani (che si consideravano prigionieri di guerra di un altro esercito) e la loro civilizzazione d’autorità.
      E’ opinione comunemente accettata da esperti di diritto internazionale e da storici che i soldati furono consapevolmente privati da parte del Reich tedesco dell’applicazione delle regole della stessa Convenzione di Ginevra. Considerati traditori e badogliani, vessati da continue richieste di adesione alla causa tedesca, sottoposti a mesi di violenze fisiche e morali, fame e malattie, persero la vita nei lager in 50.000 (*).
      Le deportazioni degli IMI, per lungo tempo ignorate dalla storiografia, sono state riscoperte a partire dagli anni 80, grazie agli indirizzi di studio che mirano alla rilettura e a un approfondimento più distaccato degli eventi legati al secondo conflitto mondiale. L'interesse è stato veicolato anche dall'Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia e dalle iniziative risarcitorie intraprese da alcuni di quei tantissimi internati che di fatto furono obbligati a svolgere il più duro lavoro al quale riuscirono a sopravvivere (suscitando l'attenzione dei media). La richiesta dei risarcimenti delle sofferenze patite, avanzata da quei pochi tra gli internati ancora oggi viventi, si riconduce proprio alla mancata assimilazione degli internati italiani alla categoria dei prigionieri di guerra e al riconoscimento dei relativi diritti da parte del Terzo Reich. Richiesta che il governo democratico di una Germania riunificata ha inteso scongiurare nella legge varata nell'agosto del 2000, che costituisce la Fondazione "Memoria, Responsabilità e Futuro", per la quale gli IMI si vedono amaramente riattribuito lo staus di prigionieri di guerra e la conseguente esclusione da qualsiasi pretesa risarcitoria, riconosciuta ai soli civili.

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(*) In un intenso e toccante diario stilato dal Capitano dell’Esercito Italiano Pompilio Aste durante il periodo di prigionia nei campi di Polonia e Germania, ecco in quali termini egli stesso, che mai cedette alle pressioni ostili, si pronunciò sulla richiesta di adesione alla R.S.I. (Pomilio Aste aveva già ricoperto durante il ventennio fascista la carica di Segretario del Fascio nella città di Bolzano): “... la formula (di “adesione”) che i tedeschi hanno proposto di sottoscrivere per poter uscire dai lager e per poter rientrare in Italia [...] presenta, se analizzata parola per parola, quanto di più subdolo, feroce, inconcepibile si possa offrire ad un alleato. A mezzo di nostri ufficiali venduti alla causa, affiancati da interpreti delle SS fu insistentemente propagandata in tutti i campi di internamento. Una piccola percentuale di noi, - non per convinzione ma per terrore di patimenti indicibili in vista - aderì!”