Ramiera e ferramenta

Uno degli aspetti che ha maggiormente caratterizzato nella seconda metà dell'ottocento la vita degli Adamoli è rappresentata dall'attività svolta per lunghi anni nel campo dell'artigianato del rame. Sia il lombardo Giuseppe Maria, nelle fonderie di Tempera, Tossicia e Villa Tordinia, che due dei suoi figli, Gelasio e Giovanni, nella stessa Ramiera di Villa Tordinia e nel commercio dei prodotti lavorati nella fonderia, hanno svolto gran parte della vita lavorativa in questo campo, che ha costituito quasi naturalmente lo sbocco verso l'attività commerciale nelle ferramenta, intrapresa sia da un terzo dei fratelli di Giuseppe Maria, Aldobrando, che dai figli di Gelasio e Giovanni. Questo lungo corso si è chiuso nell'ultimo decennio del novecento con la morte di Alfredo, uno dei tanti pronipoti del lombardo Giuseppe Maria.

Anche in questo caso sono le fondamentali memorie di Umberto a costituire la fonte principale per ricostruire la trama della vita lavorativa della famiglia. Giuseppe Maria Adamoli, giunto tra il 1843 e il 1844 nell'aquilano dalla Lombardia quale profugo politico, dopo aver presumibilmente già maturato nell'artigianato del rame una significativa esperienza nella terra d'origine, entra in qualità di socio nella fonderia gestita a Tempera dalla famiglia Strina, con la quale in quel tempo si è instaurato un importante legame affettivo, culminato con il matrimonio con Doralice Strina (1844).

Sono nuovamente le ragioni politiche a costringere Giuseppe Maria e la famiglia ad allontanarsi dall'aquilano, a causa dell'inasprimento della pressione della polizia borbonica nell'ambito delle vicende risorgimentali, per le quali il cognato Isidoro viene condannato a sette anni di confino nell'isola di Ponza.

Nella primavera del 1850 gli Adamoli approdano nel teramano, rifugiandosi a Tossicia, e aprendo sulle rive del fiume Mavone un'altra fonderia di rame che presto si affermò, nella quale trovarono collocazione anche gli operai profughi anch'essi da Tempera.

Allo scopo di uscire dall'isolamento della montagna e con la speranza di assicurare ai propri figli un futuro migliore Giuseppe Maria fu spinto ad avvicinarsi alla città: "Nella primavera del 1854 si recava a Teramo per esaminare sul posto la possibilità di aprirvi altra fonderia, incontrandosi con un tal Giandomenico Spinozzi e stabilendo di comune accordo che essa fonderia sarebbe sorta su un suo terreno, nel territorio di Rocciano, sul fiume Tordino, dove già esisteva un mulino. La costruzione sotto la direzione tecnica del lombardo durava due anni e finiva nel 1856. Gli Adamoli abbandonavano Tossicia prima dell'inverno e nella primavera del 1857 iniziava l'attività della Ramiera. Ad un anno dall'inizio di quella attività si apriva in città, per agevolare i clienti, un deposito di quei prodotti che uscivano dalla fonderia. S'istituiva un laboratorio per l'ulteriore lavorazione del rame, venduto direttamente al pubblico di Teramo."

Il corso degli eventi viene stravolto nella primavera del 1859, quando Giuseppe Maria muore a causa di una polmonite a soli 49 anni: "in breve tempo la gestione della fonderia veniva ceduta agli Spinozzi, che l'avevano richiesta con insistenza. Doralice Strina conservava per sé, nella contrada della Cona, ove si trasferiva, il laboratorio di ramiera ed il magazzino di vendita."

[ vedi APPROFONDIMENTO sulla Ramiera di Villa Tordinia ]


Nel 1872 il figlio maggiore Gelasio, rientrando da Giffoni Vallepiana (Salerno) dove ha svolto il servizio militare e successivamente ha formato una propria famiglia (maturando presumibilmente un esperienza nel campo dell'artigianato del rame in un industria gestita in quei luoghi da un cugino del padre, Antonio, proveniente anch'esso dalla Lombardia), decide di riprendere la conduzione della fonderia di Rocciano avvalendosi delle condizioni che furono poste dalla madre agli Spinozzi al momento della cessione della ramiera. Le pratiche per gestire la fonderia in proprio furono avviate nel 1870 e solo dopo due anni Gelasio poté iniziare a gestire per suo conto la ramiera teramana. Facevano parte dell'attività, oltre la fonderia ove lavoravano molti operai, anche un mulino ed un podere. E' presumibile ritenere che la gestione della fonderia si protrasse per circa un decennio, fino al 1883, quando Gelasio con la moglie Carolina Marotta e gli otto figli si trasferono a L'Aquila, quindi, poco tempo dopo, a Tempera. Le ragioni di questo trasferimento vanno sicuramente ricercate nei problemi che evidentemente erano sorti nella gestione della ramiera, presumibilmente in crisi. Questa precarietà determina in Gelasio la decisione del ritorno nei luoghi dove il padre Giuseppe Maria era giunto dalla natia Narro. Qui le condizioni economiche risultavano sicuramente migliori, potendo la famiglia contare su una donazione in terreni e casa da parte di un parente. Anche nell'aquilano l'attività lavorativa presumibilmente si esplica nella fonderia di rame degli Strina della quale Gelasio diviene socio e nella quale, come già detto, era entrato in società lo stesso padre Giuseppe Maria. Fu nel 1888, alla morte della madre di Gelasio che questi, insieme al fratello Giovanni (nella foto), pensò di costituire una società a loro nome, riprendendo l'esercizio della fonderia di Rocciano, che era in crisi. Il passo decisivo per questo accordo si ha quando nella fonderia di Tempera si registra un grave dissesto a causa dell'acquisto di una grossa partita di rame proveniente dall'America, risultata però non idonea alla lavorazione; la questione provoca un grave dissidio tra i soci della ramiera aquilana, tra cui vi era un ingegner Ciuffoletti, ed il conseguente scioglimento della società.

E' nuovamente la precarietà della situazione lavorativa a determinare la decisione di un nuovo trasferimento a Rocciano, non essendo sufficiente per la sopravvivenza della numerosa famiglia la rendita della campagna. Nella prima metà del 1888 le trattative tra i fratelli Gelasio e Giovanni si concludono favorevolmente: per l'esercizio della loro attività gli Adamoli ricevono in affitto - a partire dall'agosto di quell'anno - dagli Spinozzi le strutture di Villa Tordinia destinate alla lavorazione del rame. Tra i fratelli esisteva una sorta di società familiare, nella quale tutti contribuivano all'attività svolta a Rocciano, che contava peraltro di numerosi salariati. Anche un terzo fratello, Altobrando, pur non facendo parte di tale società, esercitava per conto dell'azienda una specie di commercio ambulante. Le vicissitudini familiari che si verificano negli anni seguenti, in particolare la morte della prima moglie di Giovanni e i successivi matrimonio di Aldobrando e Giovanni, si ripercuotono nel clima familiare, con discussioni che finiscono col ricadere nella società stessa, che peraltro presentava pure un dissesto contabile. Tali circostanze condussero Gelasio ad ammalarsi seriamente, sospendendo nel 1892 qualsiasi attività lavorativa. Questi accadimenti preludono al definitivo scioglimento della società ed alla fine del coinvolgimento degli Adamoli nella vita della ramiera di Rocciano.



Diploma relativo a una medaglia di bronzo al merito industriale conferita a Giovanni "per gli utensili di rame di sua lavorazione" nel corso del Concorso Industriale Regionale di Aquila del 1888



Diploma relativo a una medaglia d'argento di 1° grado conferita a Giovanni per la sezione Arti e Mestieri per utensili in rame ne corso della Esposizione Provinciale Operaia di Teramo del luglio 1888



Il 1892 rappresenta un periodo di estrema incertezza per la famiglia di Gelasio, con il fallimento di nuove esperienze lavorative (nel commercio all'ingrosso della frutta) ed il persistere dei suoi problemi di salute; tali circostanze lo conducono ad un nuovo trasferimento nel salernitano (morirà a Teramo nel 1899). Inoltre, nel 1893 si verifica anche la morte prematura di Giovanni. La vedova di questi, Diana Ridolfi, che aveva una società con il cognato Aldobrando, si separava da questi, per aprire una società sotto il proprio nome.

E' presumibile ritenere che la società in questione avesse proprio attinenza con un negozio di ferramenta, che costituisce nei decenni successivi l'attività che caratterizza gli Adamoli nella città di Teramo. Sicuramente già nel 1895 e negli anni successivi Aldobrando gestisce un negozio di ferramenta in Corso San Giorgio nel quale per qualche tempo collaborò anche il nipote Vincenzo, uno degli undici figli di Gelasio. Alla partenza di quest'ultimo da Teramo però Aldobrando era rimasto con estranei nell'azienda; grazie all'interessamento dell'altro nipote Umberto, intorno al 1910 entra nel negozio Federico (fratello di Umberto), con il quale tuttavia lo zio non aveva un grande accordo. In seguito al matrimonio tra i cugini Federico e Annunziata, che provoca un grave turbamento in Aldobrando, questi si persuase ad abbandonare la conduzione dell'azienda, richiesta con insistenza dagli Spinozzi. Fu nuovamente grazie all'intercessione di Umberto che lo zio di persuase, dopo una trattativa durata otto mesi, a favorire il fratello Vincenzo, che languiva lontano da Teramo, nel lavoro micidiale di una fonderia di rame. Vincenzo porterà avanti per anni il negozio ereditato dallo zio Aldobrando (che muore nel 1923), dedicandosi pure alla produzione di gabbioni e di reti metalliche. La fabbrica ed i magazzini si trovavano in Via XX Settembre, mentre il negozio era in Corso San Giorgio. L'attività di questi entrò ad un certo punto in una crisi che condusse ad una definitiva cessazione del negozio.



Federico, con il matrimonio, riaprì invece lui stesso il negozio di ferramenta fondato da Diana Ridolfi dopo la separazione dal cognato Aldobrando. Il negozio era situato in Via dei Tribunali, all'angolo di Palazzo Delfico, da dove in seguito si spostò definitivamente in Corso Trivio (oggi Corso Cerulli) nei locali che oggi sono occupati da una enoteca. Faceva parte dell'azienda anche un deposito situato in Largo Porta Reale. Negli anni seguenti alla riapertura di Federico, un altro degli undici figli di Gelasio, Giuseppe, emigrato da tempo in Argentina, rientrava in Italia con la numerosa famiglia, dapprima a Giffoni Vallepiana, quindi, su sollecitazione di Umberto, a Teramo, dove andava ad affiancare dal 1913 il fratello Federico nella conduzione della ferramenta. L'attività nella ferramenta dei fratelli Federico e Giuseppe si protrae in comune per un ventennio sino alla morte di Giuseppe, avvenuta all'inizio del 1932. In conseguenza della successione ereditaria Federico proseguì da solo la gestione della ferramenta sino alla sua morte avvenuta nel 1946, quando il figlio Giovanni, già impegnato da lungo tempo nell'insegnamento scolastico, prosegue, coadiuvato dalle sorelle, l'attività sino alla cessione dell'azienda ad Apruzzese, avvenuta nel 1960.


Anche alcuni dei figli di Giuseppe, dopo la sua morte, dal 1932 proseguirono l'attività per proprio conto, in una conduzione associata tra Aldobrando e Alfredo (anche questo negozio era situato in Corso Cerulli nei locali oggi occupati da un negozio di scarpe per bambini) sino alla morte di Alfredo avvenuta nel 1995 che chiude definitivamente il ciclo degli Adamoli in questo settore di mercato, inaugurato da Giuseppe Maria nella metà dell'ottocento. Occorre infine sottolineare che nell'ambito del commercio, nel settore dei mobili e degli articoli da regalo, per lungo tempo ha operato con risultati lusinghieri, sin dagli anni trenta e per oltre cinquant'anni, anche un altro dei figlio di Giuseppe, Gelasio, la cui figlia Anna Maria, ha ricalcato le stesse orme a Pescara.






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