Era Teramo




Dramma coniugale (1892)

         Augusta era una bella ragazza di 24 anni, figlia di Vincenzo De Angelis, parrucchiere: alta, snella, dai capelli castagni scuri riccioluti, ben educata, aveva pure studiato pianoforte al Santa Cecilia di Roma, dove abitava la sua famiglia di origine.
         Augusta era sposata con Pasquale d'Angelo, teramano figlio di Parisio: giovane conosciuto dai suoi compagni per le idee anarchiche, era stato barbiere nel salone Paolini.
         Una bella coppia. Nell'estate del 1891 la bella ragazza romana era stata ospitata nella casa dei suoceri romani, e la sua condotta era apparsa ai loro occhi impeccabile. Un matrimonio che sembrava felice, ma che invece non era tale, perché la ragazza aveva confidato ad alcune sue compagne le peripezie ed i patimenti che soffriva con il marito Pasquale, il quale dopo averla costretta a compiere piccoli furti e piccole truffe si era spinto al punto di costringere la moglie ad offrire le proprie grazie fisiche in cambio di denaro.
         Per Augusta la vita coniugale doveva essere diventata insostenibile, e così quando il marito dovette recarsi a Teramo per alcune sue faccende, lei decise di allontanarsi. Fu il suocero ad avvertire il marito che la moglie aveva lasciato la loro abitazione. Un amico di Pasquale, incaricato di compiere delle ricerche, non aveva ottenuto alcun risultato: di Augusta sembravano essersi perse le tracce.
         A fine ottocento a Roma aveva una certa rinomanza una casa posta in via del Leonetto, “Madama Martin”, che prendeva il nome dalla sua fondatrice di Arcidosso. Questa, dopo essersi ritirata dagli affari che vi si trattavano, cedette la casa ad Amalia Monti, che divenne ben presto una personalità di rilievo nell'ambiente delle case di tolleranza. E' qui Augusta, priva di un tetto e già iniziata dal marito alla prostituzione, decise di andare. Pallida, con un'aria smarrita, chiese alla tenutaria di essere ammessa fra le 'pensionate' della sua casa. Raccontò la sua storia penosa ad Amalia Monti, che però non dovette però convincerla molto, al punto che decise di non accettare quella ragazza molto bella, anche perché essa aveva famiglia a Roma.
         La bella Augusta, tanto disperata quanto tenace nei suoi propositi, dovette ricorrere a qualche personaggio molto influente nel mondo dei sensali di carne bianca, perché nel giro di pochi giorni si trovò regolarmente iscritta nei registri della Casa, con il nome di battaglia di Olga. Qui Augusta raccontò alle compagne di lavoro tutte le sue vicissitudini di moglie e di madre (aveva da poco persa una piccola bimba, che ella aveva affidato alle cognate teramane).
         Era un lunedì sera: Olga si trovava insieme alle colleghe nel salottino detto del pianoforte; seduta su un divano, indossava gli abiti “da casa”: una veste da camera di flanella scozzese sopra una camicia finissima ricamata in seta, calze di seta, stivalini molto eleganti. In una delle sue tasche un piccolo portamonete con dentro una 'marca'...
         Erano circa le nove. A quell'ora non c'era nessun uomo insieme alle ragazze. Nella casa di via del Leonetto giunse un uomo molto ben vestito; introdotto da Teresa, la portinaia, l'uomo salì le due rampe di scale che conducevano al salottino, ed una volta entrato, osservata Augusta che parlava con una compagna, disse: “Ah! Sei qui tu?”, ed estraendo una rivoltella sparò un primo colpo, che andò a vuoto. Sparò ancora, e questa volta le pallottole raggiunsero due volte sulla testa la ragazza, che cadde sul divano. L'uomo, non pago, si scagliò sul corpo della povera ragazza colpendola sul viso e sulla testa con il calcio della pistola.
         Guardando spavaldamente l'unica ragazza terrorizzata che era rimasta nella sala gridò: “Sono suo marito, il marito vero, sapete! e non ho paura delle guardie”, quindi si precipitò fuori, trovando però il cancello chiuso. Puntando la rivoltella verso la portinaia, la costrinse ad aprire subito.
         La povera Augusta era ancora viva, anche se sembrava agonizzante: trasportata all'ospedale di San Giacomo, appena giunta morì.
         Il giorno prima, domenica, il marito Pasquale era partito da Teramo la mattina molto presto, e sapeva già dove andare... Nel momento in cui aveva saputo che la moglie era andata via di casa, egli aveva telegrafato ad un amico, Francesco di Berardo, il quale compì le sue ricerche ed informò il marito abbandonato. Per partire Pasquale dovette chiedere i soldi al padre, con la promessa che sarebbe andato a Genova ad accompagnare una donna: invece egli, una volta giunto a Giulianova, si diresse verso Roma. Giunto nella capitale egli ebbe modo di meditare una notte prima di mettere in atto i suoi propositi. Compiuto il misfatto, Pasquale d'Angelo figlio di Parisio, “di buona famiglia operaia”, andò incontro al suo destino e si consegnò alla giustizia.

        Federico Adamoli

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