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a cura di Federico Adamoli

Carlo Eugeni e la storia dello sport teramano


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     Tutte queste persone hanno contribuito, nei loro tempi e nei loro ruoli, io credo, a dare quella spinta che l'atletica leggera italiana ebbe in quei tempi enormemente sani; i ragazzi pensavano allo sport in modo corretto, e questo è importante. E mio padre questo lo ha predicato per anni, lui predicava lo sport di massa. Occorre si, qualcuno che pensi ai bravi, però ci vuole qualcuno che pensi alle masse, per portare il movimento corretto nelle gambe e nelle braccia di tutti, e questa sostanzialmente è stata la sua filosofia principale. Vi racconto ora alcuni particolari: io ero sempre curioso di come lui faceva scuola, mi interessava proprio la sua didattica spicciola. Lui aveva per ogni classe un grosso quaderno, ed all'inizio dell'anno faceva fare a tutti delle prove, su tutte le specialità dell'atletica. Prendeva i tempi delle corse, le misure del lancio del peso, del giavellotto - anche il giavellotto, che era proibito fare a scuola - e segnava tutto. Poi a metà anno, dopo aver fatto diversi allenamenti ripeteva ancora le misure, in maniera da avere chiara la situazione del miglioramento individuale. E questo lui lo chiedeva a molti atleti: fatevi il libricino. Io giorni fa ho ritrovato il mio con molta commozione, perché queste cose ti commuovono.
     Altro particolare interessante fu il conferimento della la Stella d'oro al merito sportivo, nel 1986. Qualche giorno prima ero stato nominato Professore Ordinario a Pescara e mio padre era contento per la sua onorificenza e per la mia nomina. Oltre mio fratello Fausto e me volle anche mio figlio Gianluca, allora tredicenne: gli uomini della famiglia. La mattina aveva avuto la medaglia dal Presidente del CONI Franco Carraro presso la sede del CONI al Foro Italico, luogo dove a suo tempo aveva frequentato l’Accademia Fascista di Educazione Fisica, dove aveva studiato ed insegnato Atletica, prima di essere richiamato per la campagna d’Africa del 1935. Tutto era pieno di significati e il pomeriggio vi era l’incontro al Quirinale, con Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica Italiana da poco meno di un anno. Per mio padre era importantissimo stringere la mano al Presidente e per questo era emozionato più che per la medaglia, essendo in lui forte, ma molto forte, il senso dello stato. Al momento che Cossiga iniziò a stringere le mani, molti presenti si accalcarono tendendo a tagliarlo fuori, ebbe uno sguardo disperato, ma fortunosamente a me e a mio fratello ci riuscì a dargli una spinta così forte da spedirlo quasi in braccio a Cossiga, che gli diede una così calorosa stretta di mano da renderlo felice per la giornata. Eppure nel 1931 aveva avuto la calda stretta di mano del Presidente americano Herbert Hoover e nel 1937 aveva stretta la mano di Hitler, stretta della quale non conservava un buon ricordo, e in più occasioni aveva stretto la mano di Mussolini.