a cura di Federico Adamoli


Cimeli di famiglia
[1 maggio 2007]

      Mio padre Giovanni non fu certamente un provetto automobilista, ma fu sempre molto prudente. Prese la patente a 45 anni suonati, e raccontava che l'esame di guida pratica lo dovette ripetere più di una volta... Inoltre ci vedeva poco, a causa della forte miopia, e quando scendevano le tenebre guidare, per lui, era una sorta di grande tabù. Andava sempre piano, molto piano, troppo piano. La zia Fernanda mi raccontò che un giorno, in viaggio in autobus verso Silvi, si trovava seduta in prima fila e dovette assistere alle imprecazioni dell'autista che se la prendeva contro quella Fiat Seicento di colore celeste che rallentava inesorabilmente il traffico. Si sentì molto imbarazzata quando si accorse che quello era proprio suo fratello Giovannino. Quella automobile - che negli anni sessanta ha rappresentato il più classico status simbol del periodo del boom economico ed ha motorizzato gran parte gli italiani - mio padre la chiamava affettuosamente "Celestina", e la pagò nel marzo 1960 la bellezza di 707.500 lire, che saldò in 'comode rate', accendendo pure una ipoteca sulla macchina stessa (il suo stipendio mensile da professore di Ragioneria sfiorava in quei tempi le 90.000 lire). Quando negli anni ottanta Celestina finì mestamente in garage, sembrava che il suo destino fosse ormai segnato. Senza più alcun valore commerciale, dileggiata da noi figli anche per quel ridicolo colore celeste, mio padre fu sul punto di venderla per sole 50.000 lire. Alla sua morte Celestina ricadde sotto la mia ala protettrice, ed oggi, pur con gli acciacchi dell'età, ha brillantemente compiuto i suoi 47 anni. Particolare più unico che raro: le sue gomme, che sono proprio quelle originali di fabbrica con la fascia bianca.



La 600 appena acquistata fotografata in Via Pigliacelli.


   








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