Benito Mussolini
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota


Pagina 43 di 192       

%


     Quando al mattino arrivammo a Messina il porto era ancora in fiamme, la città semidistrutta. Trovammo gli animi affranti. Ebbi la sensazione di un disastro impensato ed improvviso. Si parlava in Prefettura e negli uffici del Commissariato nonché fra la gente per le strade dei quartieri alti della città, ancora preservati dall'azione nemica, di tradimento di Augusta. Tutti gli animi erano votati alla sfiducia e allo sgomento. Anche i militari. Intanto incominciarono i bombardamenti aerei che ci sorpresero mentre ci recavamo a Punta Faro per attingere dai Tedeschi qualche informazione più precisa. A mezza strada, allo scoperto, assistemmo a ben quattro terrificanti bombardamenti di Messina, di Villa San Giovanni, di Reggio. Si può dire che vedemmo distruggere sotto i nostri occhi ciò che rimaneva della città di Messina. Il fuoco dell'artiglieria antiaerea era fortissimo, ma il tiro impreciso. Pochi apparecchi potemmo vedere colpiti. Impossibilitati a proseguire oltre o a tornare indietro, con lo spettacolo di bande di soldati, soprattutto avieri e marinai, che si avviavano laceri e sconvolti verso i traghetti tedeschi, decidemmo di attraversare lo Stretto.
     Lo spettacolo nella stazione di Scilla e in quella di Bagnara era quanto di più penoso. Folle di civili e "folle" di militari prendevano d'assalto i treni passeggeri e le tradotte. Marinai, avieri, soldati, chi proveniente da Augusta, chi da Catania, chi da Riposto, chi da Messina, pure spinti dalla fame e dalla stanchezza, si sbracciavano, gridavano, imprecavano. Atmosfera di disfatta. Sia poi a Messina che sulla costa calabra, anche gli ufficiali che non reagivano alle imprecazioni del semplice soldato non apparivano di morale troppo diverso.