Discorso di Pesaro
(18 agosto 1926)


      Nello stesso giorno, 18 agosto 1926, il Duce, partito da Cagli per andare a Riccione, sostò a Pesaro ove la folla adunata nella Piazza del Municipio insisteva, acclamando, per udire la sua parola. Il Duce, cedendo alle insistenze della folla, pronunciò il seguente discorso, che - sebbene derivato da una circostanza occasionale - ebbe subito larghissima eco e profonda ripercussione in tutta Italia e all'estero, e rimase consacrato alla storia del Fascismo sotto il nome di «Discorso di Pesaro».
      Esso costituisce la base fondamentale, l'affermazione più precisa e inesorabile della politica del Governo per la difesa e la stabilità della lira, secondo una direttiva lineare che non subì mai deviazioni o infiacchimenti.

      Voglio fare in questa piazza un elogio parco, come è mio costume, ma altrettanto sincero della gente marchigiana. Quattro anni sono passati dacché io mi sono assunto il peso grave del potere; durante questi quattro anni a centinaia sono passate le commissioni attraverso i saloni di palazzo Chigi: le Marche hanno fatto eccezione.
      Io posso contare sulle dita d'una mano le volte nelle quali le Marche mi hanno chiesto qualche cosa. Siete dunque una popolazione laboriosa e saggia che si rende perfettamente conto delle superiori necessità della Nazione, che non chiede per sé se non pei suoi stretti bisogni e quando sa preventivamente che le sue richieste saranno benignamente accolte: siete quindi gente che cura i suoi interessi da se stessa.
      Voglio fare anche l'elogio del Fascismo di questa Provincia, saldo, compatto, quadrato, non inquinato da piccoli dissidi e da beghe, a proposito delle quali non bisogna esagerare perché il partito che ha più di novecentomila iscritti, d'una età per fortuna loro che varia dai 20 ai 30 anni, non può non essere un partito difficile, per le sue esuberanze, per i suoi impeti e per le sue passioni, ed io lo preferisco in questo stile piuttosto che vederlo muovere come monotone fraterie di salmodianti. È quindi ridicolo, sommamente grottesco, lo sperare di taluni sperduti avversari, i quali, non ancora convinti delle terribili lezioni della nostra storia, si nutrono di illusioni che hanno la durata di fuochi fatui.

(segue...)