La politica estera alla Camera
(15 novembre 1924)


      Alla Camera dei Deputati, nella tornata del 15 novembre 1924, in sede di discussioni del bilancio degli Esteri, S. E. il Capo del Governo espose, con questo discorso, la linea della sua politica estera, riprendendo i concetti svolti l'undici novembre, alla riunione della maggioranza parlamentare.

      Onorevoli Colleghi!
      Non credo di dire cosa inesatta se affermo che da parecchi anni a questa parte rare volte si fece in questa assemblea una discussione così esauriente in tema di politica estera, e di fronte ad un così imponente numero di deputati.
      Tutti i complessi problemi di questa politica sono stati convenientemente prospettati e illustrati, tutti gli aspetti, politici, economici, morali. Poiché la politica estera è la proiezione globale e complessa di una nazione nel mondo.
      Ci sono state anche delle critiche, che ho ascoltato con molto interesse. In genere la politica estera non suscita in Italia contrasti accesi. Ma non è vero tuttavia che ci sia attorno alla mia politica estera un consenso generale. No, perché a noi accade una straordinaria cosa: quando facciamo per avventura qualcosa di bene, si dice che facciamo quello che gli altri potevano fare; però tutto il male, quello è tutto nostro, di diritto e di fatto.
      E respingo la definizione che il mio amico onorevole Alfieri ha dato di questa politica estera, quando l'ha chiamata originale. Una politica estera non è mai originale. La politica estera è strettamente condizionata da circostanze di fatto, nell'ordine geografico, nell'ordine storico e nell'ordine economico. Niente originalità dunque; piuttosto, autonomia. Cioè, da due anni l'Italia fa una politica estera di autonomia. Questo non significa che faccia una politica estera aggressiva o di larvata ostilità verso gruppi e singole potenze. No. Soltanto, quando si tratta di prendere una decisione, si considerano gli elementi nella loro assoluta obiettività, e se l'esame consiglia di agire, non si chiedono permessi come qualche volta accadeva nel passato, quando la politica estera italiana doveva avere questo transito paradossale: Parigi, Londra, qualche volta Atene, e, assai di rado Roma.

(segue...)