Stato anti-stato e fascismo
(25 giugno 1922)


      Questo articolo fu pubblicato nella rivista Gerarchia nel numero del 25 giugno 1922. Esso prelude alla rivoluzione fascista che doveva maturare nel successivo autunno con la conquista dello Stato.

      I.
      L'occupazione fascista di Ferrara che ebbe del resto obiettivi concreti d'ordine immediato e fu uno spiegamento dimostrativo di forze a scopo di pressione sul Governo ma soprattutto l'occupazione a carattere militare di Bologna diretta contro il più alto rappresentante provinciale dello Stato hanno sollevato parecchie discussioni non solo in Italia ma anche all'estero. Interrogativi di questo genere hanno costellato articoli di giornali e discorsi parlamentari: Il Fascismo è un movimento di restaurazione dell'autorità dello Stato o di sovvertimento della stessa autorità? È ordine o disordine? Come si concilia il suo proposito reiteratamente proclamato di volere restaurata l'autorità dello Stato con la sua azione che prende a bersaglio i rappresentanti massimi di codesta autorità? Si può essere e non essere? Si può essere conservatori e sovversivi al tempo istesso? Come intende uscire il Fascismo dal circolo vizioso di questa sua paradossale contraddizione? Rispondo subito che il Fascismo è già uscito da questa contraddizione perché la contraddizione che gli viene imputata non esiste: è semplicemente apparente non sostanziale e verrà dimostrato nelle pagine che seguono. Io intendo precisare il punto di vista del Fascismo di fronte al concetto di Stato in astratto e di fronte a quella incarnazione speciale e individuata dell'idea di Stato che è lo Stato italiano.

      II.
      Che cosa è lo Stato? Nei postulati programmatici del Fascismo lo Stato vien definito come «l'incarnazione giuridica della Nazione». La formula è vaga. Lo Stato soprattutto lo Stato moderno è anche questo ma non è soltanto questo. Senza volere elencare tutte le definizioni che del concetto di Stato furono date nei secoli dai cultori delle scienze politiche — il che sarebbe inutile e prolisso — mi pare che lo Stato possa essere definito come un «sistema di gerarchie». Lo Stato è alle sue origini un sistema di gerarchie. Quel giorno in cui un uomo fra un gruppo di altri uomini assunse il comando perché era il più' forte il più astuto il più saggio o il più intelligente e gli altri per amore o per forza ubbidirono quel giorno lo Stato nacque e fu un sistema di gerarchie semplice e rudimentale allora com'era semplice e rudimentale la vita degli uomini agli albori della storia. Il capo dové creare necessariamente un sistema di gerarchie per fare la guerra per rendere giustizia per amministrare i beni della comunità per ottenere il pagamento dei tributi per regolare i rapporti fra l'uomo e il soprannaturale. Non importa l'origine da cui lo Stato ripete o con cui lo Stato legittima il suo privilegio di creatore di un sistema di gerarchie: può essere Iddio ed è lo Stato teocratico; può essere un individuo solo la discendenza di una famiglia o un gruppo di individui ed è lo Stato monarchico od aristocratico — qui mi sovviene del Libro d'Oro della Serenissima —; è il popolo attraverso il meccanismo del suffragio e siamo allo Stato demo-costituzionale dell'era capitalistica: ma in tutti i casi lo Stato si estrinseca in un sistema di gerarchie oggi infinitamente più complesso adeguatamente alla vita che è più complessa in intenzione ed in estensione. Ma perché le gerarchie non siano categorie morte è necessario che esse fluiscano in una sintesi che convergano tutte ad uno scopo che abbiano una loro anima che si assomma nell'anima collettiva per cui lo Stato deve esprimersi nella parte più eletta di una data società e dev'essere la guida delle altre classi minori.

(segue...)