Restare a Valona
(13 giugno 1920)


      La politica rinunciataria di Nitti continuava a portare i suoi tristi effetti. Si era appena dimesso Nitti - e non era ancora costituito il nuovo Ministero - quando - per sobillazione di agenti provocatori stranieri - si ebbe una specie d'insurrezione a Valona che trovò impreparati i presidi italiani. La verità vergognosa era che le stesse sfere governanti italiane desideravano l'abbandono dell'Albania. In questa occasione il 13 giugno 1920 apparve sul «Popolo d'Italia» il seguente articolo:

      Roma tace. Le alte sfere militari diplomatiche politiche al paese angosciato che attende non hanno ancora saputo dire una parola. Non si tratta tanto di sapere «perché» gli albanesi che hanno ricevuto dall'Italia aiuti materiali e morali d'ogni specie ci ricompensino in tale squisita maniera balcanica; ma è lecito chiedere e si è in diritto di sapere «come» è avvenuto che i nostri presidi siano stati sorpresi; come è avvenuto che per le belle strade camionabili costruite dagli italiani i cosidetti insorti albanesi siano giunti sino alle case di Valona.
      Le domande che noi ponemmo sin dal primo momento sono rimaste senza risposta. Il Comando delle nostre truppe in Albania dov'era? Cosa faceva? Quella dozzina di generali che risiedevano a Valona in quale mai beata incoscienza vivevano? Assodare le responsabilità e punire immediatamente e severamente i colpevoli — anche colla fucilazione — è il mezzo che si impone perché i soldati partano volentieri a difendere Valona e la vita dei loro compagni assediati.
      È palese oramai che il Comando militare e civile non funzionava e che il famoso campo trincerato di Valona non aveva trincee e non aveva uomini. Chi ha mancato deve pagare. Gli incoscienti e gli imprevidenti devono pagare. Non basta ristabilire la situazione attorno a Valona e salvare la città bisogna punire duramente i colpevoli.

(segue...)