Due discorsi
(21 giugno 1917)


      Il discorso pronunciato ieri alla camera dall'on. Boselli è vuoto. È il discorso di un uomo stanco. È un mucchio di parole legate malamente insieme. Basta esaminarlo un poco per convincersi che da quel discorso non c'è nulla da sperare per l'attuazione di quella politica di guerra che gli elementi di parte nostra hanno in questi ultimi tempi così insistentemente invocato. Il discorso comincia con una esaltazione della concordia nazionale. È un pezzo d'occasione. Ma l'on. Boselli sa che la realtà è diversa. Sa che ci sono due «concordie» nella nazione: l'una che vuole la vittoria l'altra che anela alla sconfitta. Semplicemente. Se così non fosse non si comprenderebbe l'allusione successiva contro i «parricidi» che insidiano le fortune e l'avvenire della patria.
      Proseguendo l'on. Boselli afferma che «col prolungarsi» della guerra l'azione politica del governo si svolge necessariamente adottando nuovi metodi e pigliando «nuovi atteggiamenti». Si domanda: quali metodi e quali atteggiamenti? È forse un cambiamento di metodo il rimpasto «tecnico» di una parte del ministero e il cambio dei due ministri militai? È forse un nuovo «atteggiamento» l'aver pensato alla nomina di una futura commissione di studio per il passaggio dallo stato di guerra a quello di pace? O tutto il cambiamento di metodo e di atteggiamento consiste nella minaccia ai sabotatori della guerra?
      Ha detto l'on. Boselli che «primo dei doveri di un governo degno del nome italiano è quello di debellare ogni tentativo contro la vigoria della guerra contro i diritti della patria» e sta bene; ma — andando al concreto — con quali provvedimenti s'intende di raggiungere questo altissimo scopo? Il discorso dell'on. Boselli non poteva essere diverso da quello che è.

(segue...)