(segue) Italia, Serbia e Dalmazia
(25 novembre 1916)
[Inizio scritto]


II
      Due elementi turbano i giudizi e influenzano l'esatta comprensione del problema jugoslavo-italiano. Anzitutto la campagna dei rispettivi nazionalismi. I circoli jugoslavi di Ginevra di Parigi di Londra sembrano affamati di territori ben più dei nazionalisti di casa nostra. La chilometrite jugoslava non solo rivendica Gorizia — vedi commento strabiliante della Serbie di Ginevra alla nostra vittoria di Gorizia — ma non sa rassegnarsi alla rinuncia definitiva di quei pochi comuni della Val Natisone — da Cividale a Pulfero — in provincia di Udine dove si parla il dialetto sloveno.
      La Jugoslavia vaticinata da taluno degli imperialisti che imperversano nelle capitali della triplice intesa includerebbe nel suo seno e Trieste e Fiume e spingerebbe i suoi confini sino a quell'Isonzo che è diventato sacro e vermiglio del più bel sangue italiano. Chi scrive ha già messo alla porta un certo dottore serbo nazionalista che osava porre in dubbio la legittimità del possesso italiano di Trieste. Queste grottesche esagerazioni dei panserbisti determinano uno stato d'irritazione e di opposte eccessività nei nazionalisti italiani i quali rivendicano tutta la Dalmazia settentrionale e meridionale dal mare alle Alpi Dinariche e non hanno ancora ben saputo precisare in quale parte del litorale dell'Adriatico lascerebbero la porta d'accesso mercantile alla più o meno grande Serbia di domani. Fra queste due antitesi una sintesi è possibile: noi non crediamo che il dissidio italo-jugoslavo — a cagione della Dalmazia — non consenta che una soluzione di «violenza»; noi pensiamo che tale dissidio in quanto non è fondamentale ammette una soluzione di «ragione» e di giustizia tanto più facile in quanto è preparata dall'attuale fraternità delle armi.
      Ma uscendo dalla zona ardente dei nazionalismi noi troviamo in Italia una vasta corrente dell'opinione pubblica che esamina il problema dalmata da un punto di vista che potremmo chiamare «di guerra» in quanto è stato determinato dalla «guerra» e dallo sconvolgimento che la guerra ha provocato e provocherà. Quelli che propugnano una rinuncia «totale» «francescana» della Dalmazia da parte dell'Italia; quelli che sostengono il programma di una annessione «totale» della Dalmazia alla Serbia di domani cioè alla Jugoslavia dimenticano un fatto che non dovrebbero dimenticare dato che non è di piccola trascurabile entità: il fatto della guerra. Dimenticano che se una Serbia — come quella di ieri o più ingrandita — esisterà ancora domani il merito maggiore va all'Italia ai sacrifici già ingenti di sangue e di denaro sostenuti dall'Italia. Dal giorno in cui i primi contingenti italiani sbarcarono a Salonicco dal giorno della dichiarazione di guerra alla Germania l'assurdo — che l'Italia potesse fare una «sua» piccola guerra territoriale — è totalmente dileguato. L'Italia fa una guerra europea di liberazione europea. Quale monito altissimo viene ai fanatici di una impossibile Jugoslavia dal fatto che alla riconquista di Monastir hanno partecipato anche truppe italiane facendo da sole un terzo del totale dei prigionieri annunciati dal bollettino di guerra! Sappiamo bene che il sentimento della gratitudine non ha influenze decisive nella politica delle nazioni ma il sangue italiano versato per la conquista di Monastir il sangue italiano che sarà versato in seguito per la resurrezione della Serbia di ieri e per la creazione di una più grande Serbia di domani dice ai serbi ch'essi devono inspirarsi a una politica di moderazione e di saggezza nei riguardi dell'Italia e non insistere nel loro programma massimo d'imperialismo jugoslavo.

(segue...)