Sua Maestà la forca
(23 novembre 1916)


      Il 21 novembre 1916 moriva all'età di 86 anni Francesco Giuseppe d'Absburgo imperatore d'Austria. Questo articolo pubblicalo sul «Popolo d'Italia» il 23 novembre 1916 costituisce la requisitoria e il giudizio su questa tragica figura della Storia.

      Fra tutte le notizie che durante questo secondo anno di guerra ci sono giunte dall'interno delle nazioni nemiche o dalle trincee insanguinate quella della morte di Francesco Giuseppe è stata la più gradita all'animo nostro. Crediamo di esser nel vero se aggiungiamo che questo senso di sollievo non è soltanto nostro ma della enorme maggioranza degli Italiani e degli uomini liberi.
      Nessuno in Italia quando si escluda una bieca minoranza di temporalisti fanatici e impotenti e qualche «idiota e nefando» dell'altra riva nessuno accompagnerà all'estrema dimora con un brivido di pietà umana l'annosa carcassa del Monarca carnefice. Il foscoliano «oltre tomba non vive ira nemica» qui non ha senso: non si tratta qui di una sosta nelle offese fra due avversari che si siano comportati cavallerescamente: il rapporto qui sta tra la vittima e il boia e fra questi nemmeno la Morte nella sua maestà misteriosa può imporre il perdono e l'oblio.
      Finalmente! Ecco l'avverbio non più di tempo ma di liberazione col quale le moltitudini popolari d'Italia hanno commentato l'annuncio di morte! Finalmente! Tutte le volte che dalle mura del fastello di Schonbrunn trapelava la voce di una indisposizione del vecchiardo ognuno si chiedeva: «Ci siamo? È questa la volta buona?» Ma poi veniva diramato un bollettino che assicurava i sudditi dei regni e dei paesi dell'Impero come e qualmente la salute di Franz Joseph fosse ottima tale da permettergli di accudire alle fatiche dello Stato.
      Anche la malattia ultima che l'ha tratto alla fossa pareva dovesse terminare in una guarigione sollecita. Il bollettino di ieri uscito nei giornali contemporaneamente all'annuncio di morte diceva testualmente: «che l'Imperatore passò tutto il giorno alzato lavorò fino a sera e ricevette oltre ad altri personaggi l'Arciduca Federico. Buona l'attività del cuore regolare il respiro minore l'appetito». Soltanto l'appetito era in leggera diminuzione ma non pareva escluso che la decrepita macchina dovesse riacquistare ancora una volta la sua capacità funzionale. Pareva che la Morte dovesse perennemente volteggiare intorno all'Impiccatore senza ghermirlo mai. O forse per una imperscrutabile volontà della Nemesi storica egli doveva morire a poco a poco doveva «sentire di morire» come di morire avevano «sentito» le migliaia di martiri caduti sul glorioso ed ancora insanguinato Calvario del principio di nazionalità? Certo è che col passare degli anni coll'avvicendarsi degli eventi nella successione ininterrotta di tragedie di popoli e di familiari questo Absburgo visto in lontananza aveva perduto ormai tutti gli aspetti dell'umanità. Era diventato una «cosa». Freddo insensibile indurito come una «cosa». E come una «cosa» pareva ch'egli avesse annullate le leggi della vita; come una «cosa» pareva che non dovesse morire mai più.

(segue...)