Il «morale»
(1 agosto 1915)


      L'altro giorno la Guerra Sociale di Hervé aveva una vignetta che si riferiva allo stato d'animo dei «civili» che stanno a casa e a quello dei «soldati» che si battono da ormai un anno. Un poilu tornato dalla breve licenza di quattro giorni diceva al suo compagno di trincea: «Mon cher si nous n'etioris pas là les «civils» craqueraient sans retard...». Tolta la punta d'esagerazione necessaria per penetrare e far riflettere — esagerazione dico perché i «civili» in Francia «tengono» ancora magnificamente — è certo però che non sono precisamente dai soldati che partono le languorose nonché equivoche invocazioni a una pace la quale sarebbe — oggi — un delitto nefando di lesa umanità. È avvenuto in Francia — nel periodo delle brevi licenze concesse ai poilus — un fenomeno straordinario. Non è il paese che ha incoraggiato i soldati ma viceversa. I soldati non sono andati a prendere della forza morale per resistere ancora; ne hanno portato e assai.
      Nella coscienza delle moltitudini enormi di proletari che popolano da dodici mesi le trincee ai quattro orizzonti dev'essere penetrata l'oscura nozione della loro missione storica. Questi soldati devono sentirsi — per intuito più o meno chiaro — gli artefici dell'avvenire gli elaboratori della prossima e futura storia d'Europa.
      Ecco perché nessun di loro pensa a interrompere il lavoro prima che sia compiuto. Ecco perché ognun d'essi dice: bisogna andare sino in fondo! Insomma il «morale» è infinitamente più elevato tra i combattenti che fra i civili. È più facile che costoro e non i primi si pieghino allo scoramento e alla sfiducia. La vittoria apparterrà a coloro che — combattenti o non combattenti — avranno più fermamente sperato nelle proprie forze e contato sulla propria volontà. Sotto questo rapporto la guerra dell'Italia permette di trarre gli auspici migliori. Il «morale» dei soldati italiani è eccellente il che rende ancora più inopportune e tediose le querimonie pacifiste dei preti rossi e dei preti neri. Le lettere di saluto che i soldati al fronte mandano ai giornali sono il documento più interessante della nostra guerra. Anzitutto depongono a favore dell'intelligenza dei nostri soldati che hanno escogitato subito il mezzo di ovviare al perdurante disservizio postale col saluto collettivo mandato a mezzo di un quotidiano. In secondo luogo rivelano il cameratismo perfetto l'intesa affettuosa che lega soldati sottufficiali e ufficiali. L'esercito — attraverso le firme numerose che accompagnano i saluti — ci appare come una grande famiglia. Infine quelle lettere sono l'espressione dello «stato d'animo» delle nostre truppe combattenti. Stato d'animo meraviglioso. Quelle lettere non contengono soltanto i saluti alle famiglie ma qualche cosa di più. C'è l'amore profondo per l'Italia l'orgoglio di combattere per la patria la fiducia ferrea nella vittoria.

(segue...)