Benito Mussolini
Diario di guerra (1915-1917)


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     — E perché? — gli ho chiesto.
     — Perché sono stato a New York... —
     In realtà, non sa nemmeno il significato della parola «repubblica». È, fra l'altro, quasi analfabeta. Ma è coraggioso, resistente alle fatiche. I suoi battibecchi con l'altro portaferiti tengono allegra la brigata. Un'altra voce: Tolmino è caduta... Nel pomeriggio ricevo un invito dal caporale Giustino Sciarra, di Isernia, della 13a compagnia. Egli è stato all'infermeria per farsi visitare dal capitano e gli è riuscito di portare in trincea un paio di bottiglie di Asti spumante. Beviamo alla salute del Reggimento e alle fortune d'Italia. La giornata non finisce bene. Verso le cinque fischia uno shrapnel. Uno solo. Da un riparo si leva un grido di dolore: ci sono tre feriti, ma, fortunatamente, non gravi.

     1° Novembre
     Comincia — per me — il terzo mese di guerra. Che cosa mi porterà? Notte di quiete e di sogni. Da qualche giorno, salvo la cannonata di ieri sera, l'artiglieria nemica tace. Anche il «cannoncino» riposa. Che significa? Sono state trasportate altrove le batterie che tiravano sulla nostra posizione? O si prepara con una copiosa scorta di munizioni un bombardamento in piena regola di qualche giorno? Chissà. Nei ripari si lavora accanitamente. Ogni tenda ha il suo fuoco. Si annuncia che Padre Michele dirà la messa al Comando. Ma, della mia compagnia nessuno si muove. Pomeriggio. Il cielo incupisce. Pioggia a raffiche.
     — È la burrasca dei giorni dei morti — mi dice qualcuno. Accanto a me, Rizzati, Massari e Sandri, tutti di Ferrara, parlano tranquillamente di canapa, di mediazioni, dei mercati, di barbabietole, come se non avessero altra preoccupazione.