Benito Mussolini
Diario di guerra (1915-1917)


Pagina 21 di 147       

%


     Mi metto a giuocare anch'io e perdo. Se non tuonasse il cannone, non sembrerebbe di essere in guerra.

     24 Settembre.
     Giornata di grande sole.
     Nel bosco è un lento cadere di foglie. Si diffondono tra le squadre le prime notizie. Non sono liete.
     Ieri sera, sull'imbrunire, un richiamato che si recava di corvée a prendere il pane, nell'attraversare la solita posizione scoperta, è stato fulminato da una fucilata. Si chiama Biagio Benati, dell'84, ferrarese anche lui.
     Vedo passare gli zappatori. Il porta-mensa degli ufficiali, tal Rossi Giuseppe, manca. Ferito? Morto? Disperso? Bombe, bombe, bombe tutta la notte, sino all'alba. Nessun morto, alcuni feriti. Mattinata di sole e di cannoneggiamento. Passa un Taube altissimo. Bianco. A tremila metri. La posta. Per noi, richiamati dell'84, nulla. È triste!

     25 Settembre.
     Stanotte dalle 2,30 alle 4 ¼ sono montato di vedetta per la nostra squadra che si trova a un posto avanzato. Era con me, altra vedetta, Barnini Washington, certaldese. Vero toscano del paese di Boccaccio: ogni parola, due bestemmie. Sono stato con orecchi ed occhi spalancati, ma nessuno si è visto. Quattro bombe sono scoppiate a pochi metri dal nostro posto. Luna velata da nubi bianche. Veniva dal burrone il tanfo dei cadaveri dissepolti. Il bel tempo è finito. Ieri, ancora il sole — un po' stanco — del settembre; oggi la nebbia, la pioggia, il freddo dell'inverno. Turbinio di foglie che cadono con rumore secco sui nostri teli da tenda. I miei compagni, della prima squadra, Pinna, Perella, Barnini, Simoni, Parisi, Di Pasquale, Bottero, Pecere, accovacciati come me sulla nuda terra, nel cavo di una roccia, dalla quale filtra l'acqua, sono silenziosi. Qualcuno dorme. Piove.