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Venti anni dopo (volume 3)

Alessandro Dumas (padre)
Fratelli Treves Editori, 1929, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 214 — .
   LXL.
   Braccio e intelletto.
   La cena fu silenziosa, ma non triste; poiché di quando in quando qualche astuto sorrisetto, che gli era abituale nei suoi momenti di buon umore, illuminava il viso di d'Artagnan. Porthos non perdeva uno di quei sorrisi, e a ciascuno d'essi mandava qualche esclamazione che indicava al suo amico che, quantunque non la comprendesse, non abbandonava però il pensiero che bollicava nel suo cervello.
   Al pospasto d'Artagnan si sdraiò su una sedia, incrociò le gambe, e si dondolò coll'aria d'un uomo perfettamente soddisfatto di sè stesso.
   Porthos appoggiò il mento nelle mani, pose i gomiti sulla tavola e guardò d'Artagnan con quello sguardo fiducioso che dava a quel colosso una espressione tanto ammirevole di bonomia.
   — Or bene? — disse d'Artagnan in capo ad un istante.
   — Or bene? — domandò Porthos.
   — Voi dunque dicevate, caro amico?...
   — Io! io non 60 nulla.
   — Sì, voi dicevate che avevate voglia d'andarvene via di qui.
   — Ah! in quanto a ciò non mi manca certo la bramosia.
   — E voi aggiungete che per andarvene di qui, non si tratta di far altro che staccare qualche sbarra o sfondare una porta.
   — È vero, lo dicevo, e ve lo dico ancora.
   — Ed io vi risposi, Porthos, che era un pessimo espediente e che non avremmo percorso cento passi senza essere presi e ammazzati, salvo che avessimo delle armi per difenderci e degli abiti per travestirci.
   — È vero, ci occorrerebbero degli abiti e delle armi.
   — Ebbene! — disse d'Artagnan alzandosi, — noi li abbiamo, e abbiamo anche qualche cosa di meglio.
   — Ohibò! — disse Porthos guardandosi dattorno,