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Venti anni dopo (volume 3)

Alessandro Dumas (padre)
Fratelli Treves Editori, 1929, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 146 —-
   il eergente passò per il primo, i due gentiluomini lo seguirono al corpo di guardia.
   Quel corpo di guardia era completamente occupato da borghesi e da popolani; gli uni giocavano, gli altri bevevano, altri ancora peroravano.
   In un angolo e quasi guardati a vista, vi erano i tre gentiluomini arrivati per primi, ai quali l'ufficiale visitava i passaporti. Quest'ufficiale era nella camera vicina, giacché l'importanza del suo grado gli concedeva l'onore di un alloggio particolare.
   Il primo movimento dei nuovi venuti e de' primi arrivati fu di gettare uno sguardo investigatore gli uni sopra gli altri da un'estremità all'altra del corpo di guardia. I primi venuti erano coperti di lunghi mantelli nelle pieghe dei quali erano accuratamente inviluppati. Uno di essi, meno grande dei suoi compagni, si teneva indietro, nell'ombra.
   All'annuncio che diede entrando il sergente, che secondo ogni probabilità, conduceva due mazariniani, i tre gentiluomini aguzzarono gli orecchi e porsero ascolto. Il più piccolo dei tre, che aveva fatto due passi in avanti, ne fece uno indietro e si trovò nell'ombra.
   Dietro l'avviso che i nuovi venuti non avevano il lasciapassare, il parere unanime del corpo di guardia fu che essi non dovevano passare.
   — Bene, — disse Athos, — è probabile al contrario che noi entriamo, giacche mi par che abbiamo a che fare con gente ragionevole. Ora, vi sarà una cosa semplicissima da farsi: vale a dire di far passare il nostro nome a Sua Maestà la regina d'Inghilterra, e se essa garantisce di noi, spero che non troverete alcun inconveniente a lasciarci libero il passo.
   A quelle parole l'attenzione del gentiluomo nascosto nell'ombra si fece più viva e fu anche accompagnata da un movimento di sorpresa tale, che il suo cappello spinto dal mantello cdl quale volle coprirsi ancor più, cadde a terra ; egli si abbassò e lo raccolse prontamente.
   — Oh, mio Dio, — disse Aramis, spingendo Athos col gomito, — avete visto?
   — Che cosa? — domandò Athos.
   — La faccia del più piccolo di quei gentiluomini.
   — No.
   — C'è che m'ha sembrato... ma è una cosa impossibile...
   In quel mentre il sergente, che era andato nella camera