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Venti anni dopo (volume 3)

Alessandro Dumas (padre)
Fratelli Treves Editori, 1929, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 73 — .
   maggior bene del mio figlio primogenito; ed ora conte di La Fere, ditemi addio.
   — Addio, Maestà santa e martire, — balbettò Athos, impietrito dal terrore.
   Successe un momento di silenzio, durante il quale parve che il re si risolvesse e cambiasse di posto.
   Indi una voce piena e sonora, in modo che fu intesa, non solo sul patibolo, ma anche sulla piazza, gridò:
   — Eemember.
   Era la voce del re.
   Aveva appena terminato quella parola, quando un colpo terribile scosse il tavolato del patibolo ; la polvere sollevata dal telo accecò il disgraziate gentiluomo, poi improvvisamente come per istinto levò macchinalmente gli occhi e la testa: una calda goccia cadde sulla sua fronte. Athos indietreggiò con un fremito di spavento, e nel tempo stesso le goccie si cambiarono in una nera cascata che rimbalzò sul pavimento.
   Athos caduto egli stesso in ginocchio, rimase per qualche minuto come colpito da pazzia e da impotenza. Ma presto dal mormorio che diminuiva s'accorse che la folla s'allontanava; rimase un istante ancora immobile, muto e costernato. Allora voltandosi indietro, andò a bagnare il lembo del suo fazzoletto nel sangue del re martire; poi, mentre la folla s'allontanava sempre più, discese, scostò il panno e s'insinuò tra due cavalli, si mishiò tra la folla giacche era vestito da popolano, e giunse primo alla bettola.
   Salito alla sua camera, si guardò in uno specchio, vide la sua fronte segnata da una larga macchia rossa, portò la mano alla fronte, la ritrasse piena di sangue e svenne.
   LXXIL L'uomo mascherato.
   Quantunque fossero soltanto le quattro della sera la notte era cupa; la neve cadeva folta - ed agghiacciata. Aramis tornò anch'egli, e trovò Athos, se non svenuto, almeno annichilito.
   Alle prime parole dell'amico, il conte uscì dalla specie di letargo in cui era caduto.