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Venti anni dopo (volume 3)

Alessandro Dumas (padre)
Fratelli Treves Editori, 1929, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 66 — .
   Poi volgendosi al commissario:
   — Signori, — diss'egli, — eon pronto, lo vedete. Non desidero che due cose che non vi faranno perdere molto tempo, cred'io. La prima di comunicarmi, la seconda d'abbracciare i miei figli e dir loro addio per l'ultima volta. Mi sarà permesso ?
   — Sì, — rispose il commissario del Parlamento.
   Ed uscì. Il cavaliere d'Herblay, richiamato a sè stesso, si cacciò le unghie nella carne. Un immenso gemito uscì dal suo petto.
   - Oh, monsignore, — esclamò, stringendo le mani di Juxon, — dov'è Dio? che fa Dio?
   — Figliuol mio, — rispose con fermezza il vescovo, — voi non lo vedete, perchè le passioni della terra lo nascondono.
   — Ragazzo mio, — disse il re ad Aramis, — non desolarti. Tu domandi cosa fa Dio? Dio guarda la tua dedizione ed il tuo martirio, e credilo a me, l'una e l'altro avranno la loro ricompensa; sfogati pure cogli uomini di quello che accade ma non con Dio. iSono gli uomini che mi fanno morire, sono gli uomini che ti fanno piangere.
   — Sì, sire, — disse Aramis, — avete ragione, devo pigliarmela cogli uomini, e cogli uomini mi vendicherò.
   — Sedetevi, Juxon, — disse Carlo Stuart cadendo ginocchioni, — poiché poco vi rimane ad udirmi, ed io debbo confessarmi. Restate, signore, — diss'egli ad Aramis che faceva un moto per ritirarsi; — restate Parry, io non ho nulla da dire, neanche nel segreto della penitenza, che non possa dirsi di fronte a tutti; restate, io non ho che un dispiacere, ed è che il mondo intero non possa intendermi come voi e con voi.
   Juxon sedette, e il re, inginocchiato dinanzi a lui come il più umile dei fedeli, cominciò la propria confessione.