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— E... non ha veduto Raoul?--disse Athos.
— Al contrario, si sono incontrati, ed è 6tato lo stesso visconte che lo condusse al letto del morente.
Athos si alzò, senza dire una parola ed andò a sua volta a staccare la sua spada.
— Ma perbacco! miei cari signori, — disse il Guascone provandosi a ridere, — sapete voi che sembriamo tante donnicciuole ? Come, noi altri quattro, che senza batter ciglio abbiamo fatto fronte a delle armate, ecco che tremiamo davanti ad un fanciullo!
— Sì, — disse Athos, — ma questo fanciullo viene in nome di Dio.
E uscirono frettolosi dalla trattoria.
XXXIX.
La lettera di Carlo I.
Ora è necessario che il lettore passi con noi la Senna e ci segua fino allo porta del convento delle Carmelitane in contrada San Giacomo.
Sono le undici del mattino, e le pie suore avevano ascoltato una messa per la prosperità delle armi di Carlo I. Uscendo di chiesa, una donna ed una giovane, vestite di nero, una come una vedova, l'altra come un'orfanella, sono rientrate nella loro cella.
La donna si è genuflessa sull!inginocchiatoio di legno dipinto, e a qualche passo di distanza da lei, la giovine, appoggiata ad una sedia, sta in piedi e piange.
La donna doveva esser stata bella, ma si vedeva che le lagrime l'avevano invecchiata. La giovane era adorabile, e le sue lagrime ne aumentavano l'avvenenza. La donna sembrava avesse quarantanni ; la giovine quattordici.
— Mio Dio ! — diceva la supplicante inginocchiata, — conservate il mio sposo, conservate mio figlio ; e prendetevi la mia vita così triste e miserabile!
— Mio Dio ! — diceva la giovine, — conservatemi mia madre !
— Tua madre non può più nulla per te a questo mondo, o Enrichetta, — disse, volgendosi, l'afflitta donna che pre-