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XVI.
Il castello di Bragelonne.
Durante tutta quella scena d'Artagnan era rimasto collo eguardo smarrito e colla bocca quasi spalancata; aveva trovato le cose talmente opposte alle sue previsioni, che era rimasto stupito per la sorpresa.
Athos lo prese per il braccio e lo condusse in giardino.
— Mentre ci preparano la cena, — disse Athos, sorridendo, — non vi dispiacerà, non è vero, mio caro amico, di penetrare un poco il mistero clje vi fa farneticare?
— È vero, signor conte, — disse d'Artagnan, che aveva sentito a poco a poco Athos riprendere su di lui quell'immensa superiorità d'aristocrazia che sempre aveva avuta.
Athos lo guardò con un dolce sorriso.
— E innanzi tutto, — diss'egli, — mio caro d'Artagnan, non esiste qui un signor conte. Se vi ho chiamato cavaliere, fu per presentarvi ai miei ospiti, affinchè sapessero chi siete voi; ma, per voi, d'Artagnan, io 60110, lo spero, sempre Athos, il vostro compagno, il vostro amico. Preferite forse le cerimonie perchè mi amate di meno?
— Oh ! Dio me ne guardi ! — disse il guascone in uno di quegli slanci leali di gioventù che raramente si ritrovano nell'età matura.
— Allora ritorniamo alle nostre-abitudini, e per cominciare siamo franchi. Tutto ciò vi sorprende qui?
— Profondamente.
— Ma ciò che vi sorprende di più, — disse Athos sorridendo, — sono io, confessatelo.
— Lo confesso.
— Sono ancor giovine, non è vero, malgrado i miei quarantanove anni? Sono riconoscibile ancora?
— Tutt'al contrario, — rispose d'Artagnan; prontissimo ad offendere la raccomandazione di franchezza che gli aveva fatta Athos, — si è che voi non siete più affatto riconoscibile.
— Ah, comprendo! —- disse Athos con un lieve rossore; — tutto ha fine, o d'Artagnan, principalmente la follia.