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— Te lo garantisco.
— Sta bene, non ne parliamo più.
E Planchet riprese il suo posto al seguito di d'Artagnan, con quella fiducia sublime che quindici anni di separazione non avevano alterata.
Così percorsero circa una lega.
Al termine di detto percorso Planchet s'appressò a d'Artagnan.
— Signore, — gli disse.
— Che avete? — rispose costui.
— Badate, signore, guardate da questo lato, — disse Planchet, — non vi sembra nel buio della notte di veder passare delle ombre? Fate attenzione, mi pare di sentir il calpestìo di cavalli.
— Impossibile, — disse d'Artagnan, — la terra è ammollita dalla pioggia, comunque, giacché me lo dici, mi par di veder qualche cosa.
E si fermò per guardare ed ascoltare.
— Se non si sentono i passi dei cavalli, se ne intendono i loro nitriti per lo meno ; badate.
E infatti il nitrito d'un cavallo attraversando lo spazio e l'oscurità giunse a ferire l'orecchio di d'Artagnan.
— Sono i nostri uomini che viaggiano in campagna, — diss'egli, — ma ciò non ci riguarda, continuiamo il nostro cammino.
E si rimisero in viaggio.
Una mezz'ora dopo giungevano alle prime case di Noisy; potevano essere le otto e mezza o tutt'al più le nove della sera.
Siccome usano i contadini, tutti erano a letto, e non si vedeva un lume in tutto il villaggio.
D'Artagnan e Planchet continuavano la loro strada. A dritta e a sinistra del loro cammino si disegnava sul cupo fosco del cielo la dentellata ancor più cupa forma dei tetti delle case. Di quando in quando un cane svegliato latrava dietro una porta, od un gatto impaurito lasciava precipitosamente il mezzo del marciapiede per rifugiarsi dietro un mucchio di fascine, donde si vedevano brillare al pari di carbonchi i suoi occhi sbigottiti. Erano i soli esseri viventi che sembravano abitare quel villaggio.
Circa alla metà del borgo, dominando la piazza principale, si innalzava una massa bigia, isolata tra due viottoli, sulla facciata della quale enormi tigli stendevano le loro