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Storia popolare del progresso materiale negli ultimi cento anni

Gustavo Strafforello
Unione Tipografico-Editrice Torino Napoli, 1871, pagine 319

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   priamente detta appartiene al signor Fox Talbot, ricco signore, il quale occupatasi per divertimento di esperienze chimiche nella sua villa deliziosa detta Lacock Àbbey nella contea di Wilt. Fin dalla primavera del 1834, Talbot ebbe l'idea di applicare all'arte del disegno la proprietà che i chimici avevano riconosciuta nel nitrato di argento, di colorarsi allorché trovasi a contatto coi raggi della luce. Da principio si avvisò di spargere sopra un fòglio di carta una quantità sufficiente di nitrato d'argento e di porre questa carta al sole, collocandola davanti un oggetto che vi produca una forte ombra. Di tal guisa doveva prodursi un'immagine somigliante in qualche modo all'oggetto interposto, po-sciaehè tutte le parti della carta rimasta all'ombra dovevano restar bianche. Credeva nullameno Talbot che questi disegni non si potessero conservare se non chiusi in un portafogli ed esaminati soltanto al lume di candela, giacché la luce del giorno li avrebbe necessariamente distrutti.
   I suoi primi saggi modificarono però le sue idee e schiusero un campo assai più ampio alle sue speranze; egli prese poi ad indagare se fesse stato preceduto nei suoi tentativi e se gli archivi della scienza contenessero lavori analoghi ai suoi. Non rinvenne che indicazioni assai vaghe, quelle eccettuate di Davy succitato, le quali, dice Talbot, vedendo quell'illustre scienziato dichiarare il mal esito delle sue ricerche, lo avrebbero certamente scoraggiato ed indotto ad abbandonare il suo progetto come chimerico, se non fosse di già pervenuto a fissare l'immagine prodotta dall'effetto della luce in maniera da guarentirla da ogni guasto, prima di conoscere quella dichiarazione di Davy della specie d'impossibilità che gli era sembrato di scorgere circa questo risultamene.