GIACOMO LEOPARDI
235
A questi dispiaceri s'aggiungevano i patimenti fisici, dai quali, appunto in quest' anno, fu perfino impedito per parecchi mesi da ogni occupazione: «non posso, scriveva al Giordani il 19 novembre 1819, non solamente leggere né prestare attenzione a chi mi legga checchesivoglia, ma fissar la mente in nessun pensiero di molto o poco rilievo ». In questa stessa lettera palesava tutta la cupa, profonda, spaventosa tristezza dell'animo suo : « Se in questo momento impazzissi, diceva, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre cogli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere, né piangere, né muovermi, altro che per forza dal luogo ove mi trovassi. Non ho più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte». Pure tra quel medesimo anno e il'20 e'21 scriveva varie poesie bellissime, che chiamò Idilli e che pubblicò poi nel Nuovo Bicoglitore di Milano del 1825 e 1826; e nel 1820 compose e diè alle stampe la canzone Ad Angelo Mai (la quale mise nuovamente in luce con le due prime canzoni e con altre sette a Bologna nel 1824). Nel novembre del 1822 ottenne finalmente di allontanarsi da Recanati e partì per Roma: da quel tempo passò la massima parte della sua vita fuori di Recanati, peregrinando per varie città italiane, ma sempre travagliato dai suoi mali e dalla più tetra malinconia: pure sfogava il suo disperato dolore in poesie e prose stupende.
Dimorò a Roma, dove si fece conoscere come erudito e grecista; a Milano, dove ebbe lavoro dal libraio Stella, per il quale curò la stampa delle Mime del Petrarca, dichiarandole con una interpretazione sobria e lucida, compilò una Crestomazia italiana ecc.; a Bologna che gli era carissimo soggiorno; a Pisa; a Firenze, dove conobbe alcuni dei principali letterati di quel tempo, fra' quali Pietro Colletta, che con altri amici trovò modo delicato di sovvenirlo di denaro (agli amici suoi di Toscana dedicò il poeta l'edizione dei Ganti del 1831 con una lettera mestissima e piena di affetto); finalmente a Napoli, accolto e ospitato amorevolmente da Antonio Ranieri, presso cui morì il 14 giugno 1837. Infierendo il colèra tutti i morti dovevano esser seppelliti nel cimitero comune, ma il Ranieri riuscì (così si è creduto fin ora: oggi da taluno si nega) 4 a far dare al cadavere del Leopardi sepoltura nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta. Il Giordani dettò l'epigrafe.