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Ma le tue doti a noi che prof Per esse Vedo più sempre concidcata l'alta Dignità de' mortali, e dar lor nome Di greggia . . . ., ecc.
Malcontento dell'accoglienza fatta dai Milanesi all'Ajace, e forse consigliato dallaSri a ^sta quella tragedia fra le proibite ne'tea J del Regno • ' in,! lo ri condusse a vivere in Firenze, ove prese a pigione una casetta Sii
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seona terza dell'atto secondo osi Averardo deplora le calanuta d Ita.a :
Inerme freme, e sembra vile Italia Da che i signori suoi vietano il brando Al depredato cittadino, e cinti Di sgherri o di mal compre armi straniere, Corrono a rissa per furor di strage E di rapina; e fan de' dritti altrui # Scherno e pretesto alla vendetta, e quindi Or di Lamagna i ferri, or gl'interdetti Del Vaticano invocano. Ben i> ode Il Pastor de'fedeli gridar: Pace! Ma frattanto a calcar l'antico scettro Che a Cesare per tanto ordine d'anni Diedero i cieli, attizza i prenci ; e indurli Ben può alle colpe; non celarle al guardo Di chi vindice eterno il ver conosce. Ma a noi che prò chi vincaì Infame danno Bensì a noi vien dal parteggiar_ da servi In questa pugna fra la croce e il trono, Per cui città a città, e prence a prence, E castello a castello, e il padre al figlio Pace contende, e infiamma a guerra eterna L'odio degli avi, ed a' nepoti il nutre. E di sangue e di obbrobrio inonderemo Per l'ire altrui la patria? Imbelle, abbietta, Divisa la vedran dunque i nepoti Per l'ire altruiì Preda dell'ire altrui Forse da tante e grandi alme d'eroi Fondata fui — Togli alla guelfa setta, Che in te fida, l'ardire: e a' Ghibellini Averardo il torrà. Congiunte e alfine Brandite sien da cittadine mani Le spade nostre ; e in cittadini petti Trasfonderemo altro valore, altr' ira, E co' pochi magnanimi trarremo I molti e dubbi itali prenci a farsi Non masnadieri, o partigiani, o sgherri,