capo iv. 179
legrava lo' suoi patriottici brindisi. Non ò stupore se tali giudici lo preponessero al Monti, col quale alternò 1' amicizia e il rancore. Rifugiato a Parigi nel 1799 ebbe lauta pensione dal Buonaparte, di cui continuò a celebrare le consolari ed imperiali vittorie. Morì in Parigi nel 1823, dedito già da qualche anno alle cose di religione.
\ incenzo Monti (1754-1828) di Fusignano nella provincia di Ravenna fu salutato principe de' poeti d'Italia, anzi d' Europa, se stiamo al giudizio del Giordani che non deve aver punto conosciuto Schiller, Goethe, Byron, nè degnamente apprezzato il giovane Manzoni. Venuto a Roma come segretario del duca Braschi conobbe Goethe, dal cui Werther tolse i più bei tratti degli Sciolti a D. Sigismondo^ Chigi; ed in casa della Maria Pizzelli avendo udito l'Alfieri leggere la Virginia, volle calzare anch'egli il coturno e scrisse l'Aristodemo. Questa* Maria Pizzelli, dottissima delle lingue antiche e moderne, ed erudita nella giurisprudenza, nella filosofia e nella storia, era l'ornamento più bello di Roma, intorno a cui si raccoglievano a leggervi i loro componimenti Alessandro Verri, l'Alfieri ¦ ian Gherardo de' Rossi ed altri letterati, e sedevano uditori il Canova, il Visconti' Angelica Kauffmann e tutti gl'illustri stranieri che visitavano il Tevere. Morì nel 1807. Negli ultimi suoi anni, costretta dalla povertà a trattare la conocchia e la calza, non vide per questo diradato il suo circolo; tanta era l'assennatezza e la grazia del suo conservare. L'Aristodemo tolse il nome del Monti dalle sale aristocratiche e lo fece popolarmente famoso da un capo all'altro della Penisola. Le continue inverosimiglianze del dramma, senza dire dell'inconveniente di quella tomba collocata nella sala regale, in cui si danno le udienze, e l'andamento tutto lirico e spesso rettorieo della tragedia, si perdonavano volentieri per quell'onda magnifica del verso sempre colorito e sempre vario, e per quei motti opportunamente^ scagliati contro il trono e contro i tiranni. Si noti che avendo in quegli anni l'Alfieri composto un fiero sonetto contro lo Stato romano, il Monti gli aveva i.sposto con un suo, nel quale non risparmia all'Astigiano i più bassi vilipendii. Lra stato più felice nello stupendo sonetto contro i suoi detrattori di Roma, nel quale domanda consiglio al Padre Quirino come debba governarsi con loro. Io credo che la satira^ non di Orazio o di Persio, ma quella di Giovenale, sia il genere pel quale il Monti era nato; poiché trovo che i passi più splendidi de' suoi poemi sono quelli, ove, abbandonandosi alla generosa sua collera, il poeta flagella le colpe siano coronate o plebee del suo secolo. Non ebbe mai il cuore di Dante, bensì lo stile che impronta d'eterno marchio l'infamia; e quando si mise alla traduzione di Persio, forse cercava di dare al suo verso la vigorosa brevità del Fiorentino-ma, cresciuto alla scuola di Virgilio e dell'Ariosto, non vi riuscì, e da quel tempo continuò in quella sua maniera larga e pomposa che rade il confine della vacuità e della gonfiezza. Prima che le vicende politiche lo allontanassero per sempre da Roma, aveva condotto quasi a termine la Feroniade, ove gli amori di Giove colla ninfa Feronia e la vendetta della infuriata Giunone danno materia a tre canti quanto splendidi di forma altrettanto vuoti d'idee. Quando negli ultimi anni del Monti la scuola romantica si affrontò colla classica, i seguaci della prima misero in canq > questa Feroniade, come monumento d'inarrivabile perfezione poetica. Pietro Giordani scriveva di essa: Oh quanto è maggiore di ogni altra sua cosa! I eminente questa lo manifesterebbe il primo de'poeti viventi in Europa; ma gli ultimi versi non gli riuscirono mai a desiderio. Poche volte si pronunciò più strano, per non dir goffo, giudizio. Se levi da quel poema lo splendore della lingua e 1 armonia del verso, non ti rimane che un meschino tessuto di racconti mitologici, i quali spesso nemmeno si fondano sulle vecchie tradizioni greche o latine. Forse per questo il Monti si credeva poeta novatore; cosicché nel secondo canto dove descrive il piedistallo d'oro e di bronzo di Vulcano, sopra il quale doveva collocarsi la statua di Diana Nemorense, fra le altre sculture il poeta pone se stesso