capo v. 177
si era hiiAsso dui suo ufficio di magistrato nella Cisalpina ed avea dettato un .emetto pel ritorno degli Austriaci. Non so poi che genere di repubblicani si fossore bcarpa, Galvani e Volta, che, avendo ricusato il giuramento prescritto dalla Cisalpina, furono sospesi dalle loro cattedre. Non parlo del Canova, che tutti sanno quanto amasse il papa Pio VII, e quanto fosse alieno dalla politica. Ma per accreditare certi loro immaginarli sistemi i Tedeschi non si guardano di falsare la a oria Io diro invece che tutti i grandi ingegni di quel tempo non si lasciarono abbagliare ila quelle lustre di libertà; che se la turba applaudiva, lo sdegnoso contegno de sapienti salvava il decoro e la dignità della nazione. Mi piace ricordare un tratto magnanimo dell'astronomo Oriani. Il Buonaparte generalissimo poco dopo la sua entrata in Milano aveva diretta all'Oriani una lettera in cui fra le 'ltre cose diceva che sino allora i dotti di Milano non avevano goduto della stima che meritavano; che sepolti ne' loro gabinetti si credevano abbastanza felici se i re ed i preti non fossero venuti a molestarli; che così non era più- che il pensiero era tatto libero in Italia, ove più non era nè inquisizione, nè intolleranza ne tirannia. Invitava quindi 1 Oriani ad indicargli i mezzi, per cui le scienze é le arti potessero risorgere a nuova vita. Rispondeva l'Oriani che i dotti in Milano non furono mai nè disprezzati nè trascurati; che al contrario vi avevano sempre goduto di un soldo onorato e di una reputazione conveniente a' loro meriti Soggiungeva che anche nell'ultima guerra, ch'era stata dispendiosissima, i salarli erano stati puntualmente pagati di mese in mese; e che solo da qualche settimana erano cessati i pagamenti; nè si sapeva quando sarebbero stati ripresi II ' Buonaparte dissimulò la stoccata e mandò tosto i suoi comandi alle pubbliche cisse
Del rimanente nella letteratura durava ancora la forma ammanierata e fittizia-del secolo precedente. Era cangiata la materia; ma gli orpelli della rettori.,, tolti a Jjillidc> erano passati sulle spalle di Bruto e di Timoleone. Robespierre e Bar-rere, il lcocnto e 1 Anacreonte della ghigliottina, avevano dato l'esempio nè la nost a Arcadia fu tarda a gettare la zampogna di Pane pel pugnale tirannicida, questa strotetta di un ode di quel tempo esprime perfettamente la trasformazione:
Fra pochi istanti, o Fillide, Farò ritorno a te Col teschio esangue e pallido D'un inimico re.
Fu nondimeno nostra fortuna che la Francia di quel tempo, superba di tanti insigni prosatori, non abbia avuto un poeta di grido, come furono più taidi il La-martme e Vittore Hugo; per cui la nostra poesia si serbò immune dall'imitazione straniera, eli è la macchia più vituperosa che possa deturpare una letteratura èravamo vacui di pensiero e romorosi di parole; ma nè ci reggevamo sulla persona, ne ci cadeva in mente di mendicare le grucce o i trampoli altrui. Molti accusano la venuta de Francesi come principio della corruzione del nostro idioma-ma se leggessero le scritture del secolo scorso, comprese la più parte delle to-scan , vedrebbero che l'infezione era già nata; che Voltaire, Rousseau e gli altri ai quella scuola signoreggiavano l'Italia prima che vi calassero gli eserciti del buonaparte, e che se ne togli il linguaggio militare e cancelleresco, poco di nuovo vi apportarono i sopravvenuti padroni. Forse in questo senso gridava l'Alfieri:
Xon è dai Galli, oibò, l'Italia invasa;
Gli è tutto pan di casa;
Una fogna nell'altra or si ^travasa.
Oso are invece che la presenza dello straniero, e que' sogni di libertà e di gloria avendo destato negl'Italiani il sentimento di una patria da redimersi e da riponi Zanella. ^