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narli insieme anche quando dovrebbe tenerli lontani, come abbiamo già notato nella flTs disse che, conosciuta una tragedia di Alfieri, si conoscono fatte; e ciò É vero in gran parte, non solo per le eose dette di sopra, ma porche la mancanza di colorito proprio dona a tutti i personaggi una certa aria comune ehe ni confonde le fattezze. L'Alfieri studiò di essere breve, conciso, energico nella Ugua si propose Dante a modello; ma non osservò ehe quella brevità disdiceva noJ soloifboeea alla donna, ma allo stesso tiranno, quando non fosse Filippo II. bf direbbe che la Maria Stuarda parla eosì fredda e stentata, perche eosì y
Il Cesarotti in una lettera eritiea sopra la Ottavia, il Mioleonee la Meropi aE rimproverato all'Alfieri il frequente bando dato agli articoli, le inversioni sforzate le strane ellissi, le aspre strutture, le alternative di iati e d intoppi, ie Xinnidi^ d'io di qui, e simili altre durezze. L'Alfieri appose aleunemle iCela lettera n fine delle quali, pur dicendosi disposto a rivedere ! suoi senti, in tuono mezzo ronico soggiunse che prima di mettersi alla correzione attende L cosatile ver lui e luminosa per tutta V Italia, eh'esca di mano del Jgnoi ZarluM salai di stile tragico! Più docile era eon Ippolito Pindemonte. Una sera a Pali il poeta veronese leggeva nella stanza dell'Alfri i Filippo edito d'ora con le altre tragedie dal Didot. Giunto al verso: Tu pur tuo aspetto a me t felle togli ? lo eangia d'un tratto dicendo: Sfuggi tu pure un infelice opprcs fl L'Alfieri strappa di mano all'amico il volume e o seagha verso il camme che àrdeva gridaAdo : Dunque a Vulcano, e eomanda ehe si ristampi il volume. Un alti a Colta insistendo il Pedemonte nella censura d'un altro passo, K.tìrovi, disse l Alfiern Tr a scrivere tragedie, signor cavaliere, si provi: a queste parole si crede e he^ debba sì VArminioàel Veronese. Alcune volte ad un appunto, ehe gli fa, èva l'amieo bai ava incollerito dalla sedia, e preso il eappello usciva precipitosamente I casa lasciando il Pindemonte fra i suoi libri e le sue carte ; tornava dopo lunga
0 a e correggeva. Lo presentava a questo e a quello, aggiungendo: ma fZ» chisseuse- etornando da Parigi in Italia gli scriveva a Verona da Spa che A t eiMe a dovergli passare ìl crogiuolo parecchi de' suoi duri ve,sacci. Al Talsd
1 ariano alcuna volta duri i versi della Gerusalemme, e si confortava dicendo. fon duri anch'essi e pur son belli i marmi. L'Alfieri sembra se ne gloriasse:
Mi trovavi duro ì Anch'io lo so; Pensar li fo.
Taccia ho d'oscuro? Mi schiarirà La libertà.
Non so poi come nella Vita dichiari di non .aver potuto intendere dal Parini dove consistessero i difetti del suo stile, quando cosi altramente glieli addita nel f,. moso scmeUo ^ gli diresse de, Tass0 lla mostrato JL la grande
indole Mana ni era ancora perduta Egli dice in un sonetto chc ne'suo, viMj