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Storia della Letteratura Italiana
Dalla metà del 700 ai giorni nostri
Giacomo Zanella
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 192

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPO III. 91
   nel petto vìi balza alla bocca, di sotto mi I' intirizziscono le ginocchio. Certo qualche sciagura strigne i figliuoli di Priamo: oh! stia lungi dalle mie orecchie questa parola, ma temo forte che il divino Achille colto solo l'ardito Ettore, e togliendolo dalla città, non gli dia la caccia per la pianura, e non lo abbia fatto restare dalla funesta bravura che dominavalo ; perciocché egli non seppe mai rimanersi tra la folla degli uomini, ma scorreva innanzi non volendo cedere ad alcuno in valore.
   Così detto uscì in fretta dal palagio simile a Baccante palpitante il cuore, e le ancelle andavano con lei. Ma come pervenne alla torre e alla turba degli uomini, stette guardando intorno alle mura, e ravvisò lui che venia strascinato dinanzi alla città, e i veloci cavalli lo traevano senza riguardo alle concave navi degli Achei. Negra notte le coperse gli occhi, cadde all' indietro, e svenne nell'animo ; via del capo gettò le vaghe fasce ed i nastri e la reticella e la cuffia intrecciata, e il velo che diede a lei l'aurea Venere nel giorno in cui Ettore squassator-dell'elmo la si condusse dalla casa d'Eezione dopo averle dati infiniti doni nuziali. Intorno a lei stavano in folla cognate e cugine, che fra loro la teneano, per ambascia bramosa di morte. Ella poiché rinvenne, e l'anima le si raccolse nelle viscere,piangendo con affollati sospiri, così fra le Trojane parlò ».
   Udiamo come il Cesarotti rifacesse questo luogo:
   » Ma di sue stanze maritali in fondo Stava romita e di sua sorte ignara Andromaca fedele. Ettore in Troja Suppon cogli altri, che il funesto avviso Ch'ei solo Achille atteso avea, recarle Non fu chi osasse: alla custodia intento Delle mura sei crede e impaziente Tuttor l'attende. A ristorarlo appunto Sudante e stanco d'acconciar commise Su tripode di bronzo un ampio vaso Di larghe fiamme circondato e colmo Di pura linfa, in cui di sparger gode Stille odorose, onde al suo caro appresti Tepido soavissimo lavacro: Quai lavacri! infelice : indi riprende II suo grato lavor, fulgida tela Su cui fioriano vagamente inteste Le più care al suo cor dolci memorie, D'Ettor le gesta e l'Imeneo famoso Cui la madre d'Amor Venere bella Col ricco don d'un prezioso velo Pai °ve allegrar di fortunati augurj, Troppo fallaci. A' suoi ginocchi intorno Pa idoleggiando il bambolo distorna Il bel lavoro, ella sorride, e al seno Spesso lo stringe; e lo stringea, quand'ode Stridulo suon di dolorose grida Che ne vièn dalla torre; alzasi, trema, Scappa l'opra di mano : oimè, qua tosto} Grida, ancelle, seguitemi, si corra; Che mai sarà ì sento la voce, è dessa, Della suocera mia} mi sbalza il core, Le ginocchia traballano ; ah di certo