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Storia della Letteratura Italiana
Dalla metà del 700 ai giorni nostri
Giacomo Zanella
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 192

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a cura di Federico Adamoli

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   N
   90 capo in.
   strò che v'erano altri campi poetici da potersi coltivare con gloria, e ciò fa bastante a scuotere gli ingegni italiani dal loro letargo. Che se il Foscolo sembra deplorare che Ossian sia inai usòito dalle sue montagne di Scozia, egli temeva 1 pericolo d'una cieca imitazione; poiché del rimanente ne'suoi sciolti giovanili al Sole ed in molti passi dell'Ori egli si rivela studioso dell Ossian, al quale parimenti si devono in gran parte VArminio d'Ippolito Pindemonti, ed il Bardo
   del Monti. .
   Gonfio della fama guadagnata coli Ossian, il Cesarotti volle coronare il suo
   Bardo degli allori tolti ad Omero. Noi gli dobbiamo perdonare in parte l'audace attentato, perchè il secolo di Cesarotti era inetto a comprendere le semplici e maschie bellezze della Iliade; e perchè molti scrittori francesi, fra i primi Perrau t e De la Mothc, nell'eterna questione sulla preminenza degli autori antichi c moderni aveano mosse mille accuse al vecchio poeta. De la Mothe concede che Omero fosse dotato d'un ingegno grandioso; via l'Iliade, soggiunge, infettata t, tutti i difetti del tempo non lancia vedere che a pochi Vestensione e la forza dello spirito del poeta. Gli Dei sono assurdi, gli eroi grossolani; l'idee della morale confuse; l'azione del poema, invero grande e patetica, viene affogata nella mo'-titudine e nella lunghezza degli episodi. I veri generi di eloquenza non vi si veggono che abbozzati ; descrizioni, racconti, comparazioni, discorsi, tutto 'presenta difetti e bellezze mescolate alla rinfusa. Non v'è forse un solo pezzo che abbia^ quell'aggiustatezza e quella scelta, di cui la successione dei precetti e degli esempi
   ci fece conoscere il pregio.
   Così l'effeminato secolo di Luigi XIV giudicava il pittore dei secoli eroici, al quale ora la storia domanda le più sincere notizie sulla vita pubblica e privata degli antichissimi Greci. Il Cesarotti nel 1768, chiamato dopo i trionfi dell'Ossian, ad insegnare il greco nell'Università padovana, vide nel canore d Achillei l'emulo del Bardo scozzese, e volle che l'Italia giudicasse a quale dei due si dovessero i primi onori. Tradusse, con abbastanza fedeltà i primi quattro canti dell'Iliade, che videro la luce in Padova; poi stimolato dal plauso degli amici c dalle ingiuste critiche di alcuni malevoli, cangiò disegno, e di traduttore si fece senz'altro riformatore di Omero. L'opera, dice egli stesso, mi andò cangiando fra mano, poiché l'uomo ha un bel proporsi di fare e di non fare ; bisogna cedere atA l'ascendente della sua stella, come si sarebbe detto nei bei tempi astrologici. Cosi levando, aggiungendo, abbreviando ed allungando, giunse a deformare l'Iliade, che fu da lui detta Morte di Ettore. Corredò l'opera di prefazioni e di dissertinole i, parte sue, parte tradotte dal francese, e di una versione letterale con note filologiche e storiche, in modo che ne uscì una vera biblioteca omerica. Il Foscolo stampando nel 1807 il suo Saggio di traduzione in versi dell' Iliade, vi pese in fronte la prosa del Cesarotti; ed io credo che questa sia la sola _ parte i quell' immenso lavoro che possa leggersi con qualche frutto dagli Italiani, elici nelle note specialmente troveranno molte utili osservazioni in materia di stile e di lingua. A mostrare come fosse corrotto il gusto di quella età, mi piace di recare un brano della Iliade tradotta letteralmente e poeticamente dal Cesarotti: è del libro XXII di Omero e XX della morte di Ettore, u Ma la moglie non avea per anco inteso nulla di Ettore, perchè niun certo messo venuto a lei le avea recato avviso che il marito fosse rimasto fuor delle porte ; ma ella nel fondo dell' alta magione tesseva una tela doppia, rilucente, e v' intrecciava per entrs varie figure. Aveva essa ordinato per la casa alle damigelle di-vaga-trecci a ti por sul fuoco un gran tripode, onde fosse presto un caldo bagno per Ettore quando^ tornasse dalla battaglia: meschina, che non sapeva, che assai lungi dai bagni Vocchiazzurra Minerva l'avea conquiso per le mani' d'Achille. Or ella udì strideI ed ululi dalla torre, un tremito le scosse le membra, la spuola le cadde a terra, e tosto alle damigelle di-vaga-treccia così parlò: qua, qua due di voi, seguitemi, ch'io vegga cos'è mai nato: intesi la voce della venerabile suocera, e già il cuoi