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Storia della Letteratura Italiana
Dalla metà del 700 ai giorni nostri
Giacomo Zanella
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 192

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a cura di Federico Adamoli

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   capo m. 39
   natura ispira, più volontieri che gli aspetti della natura stessa: essi esprimono nel verso 1 abitudine scientifica alla riflessione. I poeti antiehi aveano l'imma^i-nazioue più splendida; gli oggetti della natura facevano in essi più viva impressione; immagini colorite e suoni armoniosi bastavano per parlare al loro cuore Ora questo colore poetico risulta dallo stato degli spiriti nella nostra epoca. Il' progresso della agiatezza e della corruzione va di pari passo col rapido svolgimento delle facoltà dello spirito. Quando si accrescono i bisogni e si fanno più coitosi e difficili i mezzi di soddisfarli; quando il raffinamento delle arti ei rende più incontentabili ne'nostri piaceri; non è meraviglia che gli spiriti si ripieghino sovra se stessi, e volgendosi alla natura la facciano confidente de' loro crucci e de' loro sospiri.
   Ura questa tinta sentimentale e trista è diffusa in tutte le poesie di Ossian tessuta per eosì dire di tenebre, di raggi di luna, di ombre guerriere assise sulle nuvole,    Veniamo alla seconda domanda: Cesarotti traducendo l'Ossian, fece bene o male alle lettere italiane?
   La risposta credo averla già data. Soggiungerò che il Cesarotti ha tradotto ' «unissimo. Egli stesso dichiara le norme a cui si è tenuto nel suo lavoro, le quali si possono riassumere in queste sole, che traducendo un poeta, ha guardato prima Il cutto alla bellezza, poi alla fedeltà. Quanto all' esattezza del senso non v' ha nu la a ridire. Cesarotti avea benissimo appreso l'inglese, e poi era assistito prima dal Sackville e poi da Trant, altro gentiluomo inglese dimorante in Venezia. Egli lii dato all'Italia un modello dì verso sciolto, vigoroso, sonante ed opportunamente speziato: tutti sanno che l'Alfieri lo prese a modello nelle tragedie, nè si creda, com'è generale opinione, che dia di soverchio nel sonoro e nel gonfio; l'anima di Cesliotti era naturalmente melanconica, e però disposta a gustare quella vena di dolce poesia ch'è sparsa nei ruvidi canti del Bardo. Ammessa pertanto l'intrinseca bontà della versione, io non dubito di affermare che l'opera di Cesarotti fu utile alla nostra letteratura, che prima di lui fra le sonore vacuità frugoniane e le insipide dolcezze dell'Arcadia dormiva un vero sonno papaverico. Cesarotti mo-
   Zantu.a, j2