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Storia della Letteratura Italiana
Dalla metà del 700 ai giorni nostri
Giacomo Zanella
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 192

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a cura di Federico Adamoli

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   58 CAP0
   d? più secoli e si rivoltola nel marrame della erudizione come ciacco nel brago. In qualche numero dopo contraddice a sè stesso lodando gli scritti di agraria e di storia naturale dell'udinese Antonio Zanon; e levando alle stelle gli eruditi volumi e le belle incisioni degli scavi di Ercolano. Dice corna del Maffei, del Muratori e dello Zeno, ne' quali non ammira che V imperturbabile jlemma nel-Vammucchiare una farraggine di notizia inutili alla vita civile; propone le sue Lettere famigliari come modello di narrazione e di stile: e flagellando il lrugom, lo Zappi e tutta l'Arcadia, non si perita di lodare le sue Poesie piacevoli, che nessuno più conosce, quando alcuni sonetti del Frugoni e dello Zappi sono ancora letti Ammira il Mattino del Parini, ma consiglia il poeta a mutare que suoi versi sciolti in rimati; dice che gli endecasillabi tronchi gli paiono martellati; ne prevede l'effetto mirabile che avrebbero fatto in certe odi del Panni e del Monti. Quando poi dice della Divina Commedia che non si può leggere senza una buona dose di risolutezza e di pazienza, tanto è oscura, noiosa e seccantissima; e trova che V Italia non ha pezzo di poesia più elevata che superi alcune parlcte di Cleonice, di Tito, di Demetrio, di Regolo nel Metastasio, sento rossore che un Italiano'con tali criteri si erigesse a giudice della patria letteratura. Ammesso pure che il Baretti abbia il merito di avere ridotta al silenzio l'Arcadia: di avere strappato qualche benda alla presunta divinità di Voltaire: e di avere rivelato all'Italia la grandezza di Shakspeare e di qualche altro poeta straniero, che cosa mai sono questi meriti verso la confusione, che co' suoi pazzi giudizi ha_ gettato nelle menti italiane, e verso il funesto esempio che ha dato ai giornalisti di procacciarsi lettori colla virulenza dell'attacco e collo scandalo?
   Ammetto chc a scuotere gl'Italiani dal sonno fosse necessario il grido e qualche volta la frusta; e forse un giornale non può vivere senza certa doso di fiele; poiché l'imparzialità, che si astiene dal vivo e colorito linguaggio delle_ passioni, riesce noiosa alla più parte dei lettori, che domandano al giornale più il diletto che la istruzione. Ammetto parimenti che certa superficialità di dottrine deva perdonarsi ai giornali e per la fretta con cui sono composti c per l'immensa variet delle materie che trattano; ma certo fondo di dottrina, e certi principi di onestà saranno pur sempre richiesti nel giornalista, posto pure che sia dannato al mestiere dagli stimoli della fame o dell'ambizione. Il Baretti nel giudicare un opera non parte mai da generali principi, ma pone il suo sentimento come regola^ infallibile del suo sentenziare. Vissuto molti anni in Inghilterra si educò più sui giornali politici di quella nazione che sui letterari, tanto gravi ed imparziali quanto i primi sono violenti e maligni. L'aria che si dava di liberissimo critico^ la foga dello stile immaginoso e spedito; l'audacia delle aggressioni; le persecuzioni che ebbe a sostenere in varie parti d'Italia: è famoso il suo bando da Venezia per aver detto che lo stile delle rime del Bembo ora non è permesso che a Truffaldino: i suoi viaggi, i corsi pericoli e i suoi procossi lo resero noto e temuto da iH capi all'altro d'Italia. Avea ingegno robusto, ma povero di cognizioni; può dirsi che nel giudicare uno scritto non passasse di là dalla forma. Boswell ci narra che Johnson soleva dire di lui: Baretti non ha molti artigli; ma cogli artigli che ha aggrappa con forza. Più che la lingua conosceva l'indole di essa; che se dava 111 esagerazione, quando voleva che i giovani dietro l'esempio del Cellini si avvezzassero a scrivere come vien viene, era giusta e bella quella sua apostrofe al Cre-novesi, che nelle Meditazioni filosofiche avea usato uno stile lambiccato e contorto al modo di Boccaccio: Eh, Genovesi mio, adopera gli abbindolati stili del Boccaccio, del Bembo e del Casa quando ti verrà ghiribizzo di scrivere qualche accademica diceria, qualche cicalata al modo fiorentino antico e moderno; ma quando scrivi le tue sublimi Meditazioni lascia scorrere velocemente la penna; lascia c/ie al nominativo vada dietro il suo bel verbo e dietro al verbo Vaccusativo senz'altri rabeschi e lascia nelle Fiammette, negli Asolani e ne' Galatei quelle smorfie di lingua, clid tanti nostri muffati grammaticuzzi vorrebbero tuttavia far credere il non plus ultra