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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   CAI'ITOLO QUARTO. — RINNOVAMENTO DELLA LINGUA, ECC. S-81
   carattere in profano e satirico. Era il mondo cumico dei fatti umani, colle sue mille peripezie, colle nuove sue tendenze alla realtà delia vita, col suo brio e fin anco colla sua licenziosità, come nella Frottola dei due veecM fattori di monache, quello che appariva sulle scene popolari in luogo del mondo sacro e miracoloso della Leggenda. Ciò che sul finire del secolo XV interessava le plebi italiane delle città, governate da una borghesia ricca, colta, indifferente alla religione, e da essa ammaestrate coll'esempio alla vita allegra ed epicurea, era il mondo profano con tutti i suoi lini ed ornamenti. Anche tra il popolo era scemata la fede nelle perfezioni ascetiche, nelle penitenze, nei sacrifìci soverchianti le forze dell'umana natura, e si rideva volontieri di monache, di frati e di conventi, e si faceva ruvidamente sonare la sferza sulle ipocrisie e sui costumi della vita clericale. Serva d'esempio la seguente scena tratta dalla Rappresentazione di Sant'Orsola vergine e martire.
   Mentre che il Re di Brettagna, padre di Orsola, si riposa vengono due, e uno di loro dice di volersi fare frate, e l'altro lo svolge, e dice così:
   El compagno risponde: El primo dice: El secondo risponde: El primo dice: El secondo risponde: El primo dice: El secondo risponde: El primo dice: El secondo risponde: El primo dice: El secondo risponde: El primo dice: El secondo risponde: El primo dice: El secondo risponde:
   Voglianci noi, compagno mio, far frati E lassar questo mondo a chi lo vuole1? Or che t'hai tutti i danar giocati, Però lo stare al mondo sì ti duole? Non vedi tu che gli è pien di peccati Nè mai riposo aver di lui si suole? Deh non mi torre il capo, ladroncello ; Frate si fa chi ha poco cervello. Tu non debbi dir questo al confessore, Ch'io so che ti daria la penitenzia, Non mi far dir tutti i difetti loro Ch'io non ci posso aver più pazienzia. E' tengon pure il corpo in gran mortoro, In digiuni, in vigilie e in penitenzia. Si, quando in coro, o ginocchioni stanno, Ma in rifettorio ognuno è saccomanno. E' vanno pur con molta divozione Col capo basso, disprezzando il mondo, Sì, ma a mensa ognuno è compagnone, Ognun ritrova alla scodella il fondo. E' predican la pace e l'unione, E metton la discordia nel profondo. Codesta è quella che tra' frati regna Che di tuffar l'un l'altro ognun s'ingegna. E' fanno pur digiuni e discipline E usan solo una carpita addosso. Tu non gli vedi intorno alla cucina Come gli scuffian bene un capon grosso. E' dicori pur l'uffizio ogni mattina, Nè mai senza licenzia alcun s'è mosso. Sai tu perchè gli stanno in orazione? Per mantener di fuor la devozione.
   Molti, continua il secondo interlocutore di questo dialogo, opponendosi sempre alle affermazioni del primo, molti che si fecero frati si pentirono ben presto della loro risoluzione, e se non abbandonarono il convento si fu per non esser tenuti f a' riesci.
   Sai tu perchè e'vi stanno i nuovi pesci?
   Per non esser tenuti fra' riesci (1).
   (1) Frati sfratati.