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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   220 il risorgimento.
   poesia, ebbe così stranamente moltiplicato i poeti che se ne poterono trovare fino a 1500 nella stessa festa; allora ognuno emulava gii altri, con invenzioni più accette al suo pubblico. Come dei mendicanti spudorati, essi provocavano la limosina, sostituendo la novità delle avventure, all'interesse storico dei fatti » (1). — La rappresentazione del mondo feudale riceverà dall'arte italiana un tutt'altro carattere di questo puramente astratto e fantastico ricevuto dall'arte francese. Ma di ciò a suo luogo.
   Intanto osserveremo clic dalla Francia, dove erano nati, i poemi uella Cavalleria si sparsero per l'Europa, intrecciandosi alle leggende ed ai canti che celebravano altri eroi nazionali oppure altre imprese compiute dal feudalismo, e prendendo colore dalle credenze, dalle tradizioni, dagli elementi del paese che li accoglieva. Portati .in Inghilterra dai Normanni di Guglielmo il Conquistatore, s'intrecciarono alle storie cavalleresche di Arturo e della Tavola Rotonda (2); penetrati in Germania furono accolti, i maneggiati e più o meno liberamente tradotti dai Tedeschi; superati i Pirenei, trovarono nella Spagna degli imitatori ad onta che ivi prevalessero i poemi del Cid che celebravano gli eroi delle secolari lotte nazionali contro i Mori. Fin nella Scandinavia gli eruditi francesi trovarono traccie dei poemi del ciclo carolingio. Cosi si formò come un solo ed immenso Poema in cui lavorarono le fantasie di tutti i popoli d'Europa feudalmente ordinati. Anche in Italia penetrarono i Poemi cavallereschi, e delle trasformazioni a cui andarono soggetti tra noi conviene che noi teniamo brevemente parola.
   L'Italia non creò leggende cavalleresche. Nel Medio Evo la vita nazionale italiana si costituì di elementi ben diversi dalla feudalità e dalla Cavalleria. Verso il secolo XI, coi ridestarsi delle antiche tradizioni latine, sorgono i Comuni che abbattono il feudalismo, e quando dopo molte lotte coi signori feudali e cogl'Impera-tori tedeschi, la vita del Comune è assicurata, noi vediamo gì' Italiani ordinarsi a democrazia, creare le industrie, estendere i commerci, studiare la giurisprudenza latina, le scienze naturali, i classici antichi. Le tradizioni feudali rimasero ben presto senza efficacia nella realtà : la Cavalleria non fu che un' imitazione di costumi stranieri e le fantasie popolari non crearono perciò nè leggende nè canzoni cavalleresche. Ben vennero d'oltr'Alpi i francigenì poeti cantando sulle nostre piazze le storie di Orlando e di Oliviero, ma il popolo stava ad ascoltarli per diletto dell'immaginazione, non perchè le cose da essi narrate avessero per lui un interessa nazionale. E infatti che interesse elle potevano inspirare ad un popolo di politici, di mercanti e d'industriali, erede del senno pratico degli antichi Lmini e rotto all'esperienza della vita reale1? I racconti della Cavalleria coi loro fantastici eroi, colle loro imprese ed avventure così lontane dalla, realtà della vita , rimasero per lui cose frivole ed insignificanti, un puro giuoco dell'immaginazione.
   E come giuoco dell'immaginazione i romanzi della Cavalleria si sparsero per l'Italia, ma nello spargersi perdettero la loro, schietta indole nativa, perocché le fantasie popolari frammischiarono le latine alle tradizioni feudali e alterarono la leggenda straniera col trasfondervi sentimenti e tendenze tutte proprie del popolo italiano. — Intanto per le cose dette dal Sig. Bartoli in questa stessa Storia della Letteratura italiana (3), il lettore conosce già come la leggenda cavalleresca si trapiantasse in Italia e quali trasformazioni subisse appena caduta tra mani italiane. Fin dal se -colo XIII, poeti e rapsodi, specialmente Lombardi e Veneti, rimaneggiavano le epopee
   (1) Èdélstand du Kéril, Melanges ArcMologique et litteraires. Paris 1850, citato da P. Villari, Saggi di storia, dì critica e di politica. Firenze, tipografia Cavour, 1868, p. 115 e 116.
   (2) Guglielmo di Malmesfcury racconta che il 13 ottobre 1066 nel momento in cui le armate di Aroldo e del Duca di Normandia stavano per venire alle mani ad Hastings, un cavaliere chiamato Taillefer mise il suo cavallo al galoppo d'innanzi alle schiere, intao-nando la Chanson de Roland onde animare i guerrieri alla pugna.
   ^3) I primi due secoli, ecc., cap. II, § III, pag. 82 e segg.