CAPITOLO QUARTO. — RINNOVAMENTO DELLA LINGUA, ECC. 217
orecchio che gli manca e finalmente ravvisa in lui Attila. Questi sulle prime nega, poi vedendo inutile il negare
sen sta con china faccia Perdon chiedendo con aperte braccia.
Ma il pregare e il supplicare è invano. Giano gli spicca la testa dal busto, e la manda al campo nemico per mezzo dei prigionieri Unni. Lo sgomento degli Unni è indicibile ; essi levano di nottetempo il campo , incendiano le porte di Rimini, e fuggono. Re Giano, Accarino d'Este
cavalier di Marte Che ben suoi successori oggi il somiglia,
Marcello da Feltre e gli altri Cristiani, ingrossati per l'arrivo dei fanti e dei cavalieri di Erodio Greco, li inseguono, li raggiungono, li disfanno completamente, uccidendo anche Pandaucco, divenuto lor capitano dopo la morte d'Attila. — Così l'Italia è liberata dagli Unni. Dopo alcun tempo re Giano muore, e suo figlio fonda un monastero.
In Rivoalto sopra un certo porto .... San Zaccaria il monastero si.appella Situato dentro di Venezia bella.
Qui fu ii principe della gran cittade Che chiamar puossi fra le belle, bella; Per senno, per valor, per dignitade Sempre regina e non mai vista ancella; Quivi regna il saper, qui la boutade, Ed al suo esempio ogni città si abbella; Qui finalmente all'indomabii Trace Vi si frena l'orgoglio e l'ira audace.
Cosi finisce questo Poemetto, reliquia delle tradizioni e delle leggende popolari intorno ad Attila, materia epica che la povera arte del cantor popolano lasciò informe e grezza. Tuttavia questi ruvidi canti sono le voci del sentimento nazionale. La tradizione latina, alterando la storia, si vendica dei barbari invasori d'Italia. Dopo stragi e devastazioni spaventevoli, ecco gli Unni costretti a fuggire ed a disperdersi d'innanzi alle armi latine, salvatrici di Roma e della civiltà romana. I ricordi delle sanguinose vittorie straniere sono accompagnati da quelli di altrettante vittorie nazionali. Dalle ruine di Aquileja, di Concordia e d'Aitino, ecco sorgere Venezia, gloriosa regina dell'Adriatico. La selvaggia grandezza d'Attila, abbellita, idealizzata dalle tradizioni germaniche, è dai latini abbassata e^quasi distrutta. Nato d'un cane, Attila serba del genitore l'aspetto e la ferocia; se talora t'apparisce non alieno da sentimenti cavallereschi, lo vedi da ultimo ricorrere a basse frodi per assassinare un nemico ch'ei non può vincere in aperta campagna e con armi leali. L'Italia, e non le patrie sponde del Tibisco, dev'essere la sua tomba. Leone f, il vecchio e venerando pontefice che incontra il re degii Unni a Peschiera e colle preghiere e coi doni lo induce a pararsi d'Italia, è scomparso dalla tradizione. Attila trova la morte sulla terra da lui seminata di stragi e di rovine, e la trova per opera di Giano, 1' eroe latino, il re disceso dal sangue d'un Cesare romano e d'una santa cristiana, che gli sta continuamente e valorosamente di fronte, e che da ultimo vede il superbo Unno Flagello di Dio, cadérgli al piede e chiedergli mercè della vita. — Così il genio latino e nazionale personificato in Giano si vendicava del tremendo invasore.
Se non che nel Poemetto di cui stiamo ragionando, oltre 1' elemento nazionale accennato, ne apparisce anche un altro. Infatti Giano, Attila, tutti gli eroi e le battaglie del gran dramma del secolo V, xieWAttila Flagellimi Dei, hanno preso Inylunuzi. Il lUsorgiìUbìito,