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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO QUARTO. — RINNOVAMENTO DELLA LINGUA, ECC. 205
   pensiero moderno, e il canto popolare fiorentino ne fu la voce più schietta e spontanea. No possiamo lamentare la corruzione morale, l'indilferenza religiosa e politica che v'incontriamo, ma non dobbiamo dimenticare che quel sentimento dell'umano e del terrestre che ne costituisce il fondo, e che ci si presenta or pieno di voluttà, or allegro e scherzevole, preparò le basi del mondo intellettuale e sociale in cui noi oggi viviamo; non dobbiamo dimenticare che in ciò eh' ebbe di più puro ed essenziale, esso fu un momento della nostra propria vita, momento divino anch'esso, poiché divino è tutto ciò ch'esce alla vita dalle arcane profondità dello spirito umano.
   Lo spir to del mondo profano che penetrava sin nella lauda spirituale, il sentimento della vita reale e della natura innanzi a cui s'andava dileguando l'ascetismo e il misticismo del Medio Evo, le nuove abitudini del viver sociale, trasformavano essenzialmente anche altri generi di letteratura popolare in voga nel Medio Evo. E innanzi tutto trasformavano la Leggenda sacra.
   Ognun sa che la leggenda è il racconto di fatti spiegati con l'intervento di forze sopramondane. I popoli in certe condizioni speciali di spinto possiedono la facoltà di creare la leggenda. L' ardente desiderio d' uno scopo ultraterreno, che alienava lo spirito dal corpo e generava l'estasi e le visioni; una fede nel sopranaturale così viva ed energica che faceva apparire come reale il fantastico; una inconsapevolezza delle proprie tendenze e passioni, che impedendo di spiegare come si fosse spinti ad agire, faceva supporre d'esservi trascinati da forze invisibili (1); una giovanile vivacità d'impressioni che dava evidenza ai fantasmi dell'immaginazione; una semplicità di mente e di cuore che non consentiva le obbiezioni, — ecco gli elementi essenziali che costituivano la facoltà creatrice della leggenda presso le popolazioni d'Europa nel Medio Evo. Finché queste condizioni di spirito si mantennero, le leggende vissero e si moltiplicarono; quando scomparvero, scomparvero anche le leggende, e venne il tempo in cui per consuetudine si ripeterono gli stessi fatti e gh stessi miracoli, rimaneggiandoli, amplificandoli, riadattandoli alle mutate condizioni, finché della leggenda antica non rimase che un pallido ricordo in una novella.
   Gl'Italiani, al pari di tutti gli altri popoli d'Europa, crearono nel Medio Evo le loro leggende. Noi non dobbiamo dire come in queste , a fatti tolti dalle Sacre Scritture, dalle Vite dei Santi, dalla vita tutta del cristianesimo medioevale si frammischino tradizioni pagane, arabe ed indiane, che di leggenda in leggenda ci fanno risalire a credenze e costumi non pur dell'antica vita nazionale italiana, ma dell'umanità primitiva,. Dotte ricerche si fecero e si fanno tuttodì intorno a questa materia, e la storia dello spirito umano ne trasse e ne trae non poco vantaggio. Quello che al proposito nostro importa presentemente di notare si è che le leggende italiane, nei secoli XIV e XV subirono un' essenziale trasformazione così da parte dei dotti letterati, come da parte del popolo.
   Sul finire del secolo XIV i dotti letterati s'impadronirono della leggenda, e le diedero forma artistica. Ma che cosa poteva diventare il racconto uscito dalla fantasia popolare, informe, rozzo, pieno di fede e di misticità, passando fra le mani di uomini coltissimi, rotti all'esperienza degli uomini e delle cose , indifferenti allo sniritualismo cristiano, sensibili soltanto alle delizie dell'arte e della vita terrena? the cosa diventarono di fatto le leggende popolari, passando attraverso l'immaginazione di Giovanni Boccaccio? non più che novelle da intrattenere sollazzevoli brigate di donne e di garzoni. Quel mondo fantastico della leggenda pieno di miracoli, di apparizioni celesti, di eremiti, di monaci, di sante vergini, d'uomini trascinati da forze invisibili, ritoccato dalla mano del Certaldese, diventò un mondo reale d'uomini schiavi delle loro passioni e dei loro pregiudizi, su cui l'artista sparse un lungo sorriso d'ironia. Ciò che muove il mondo del Boccaccio è, come nota il De Sanctis (2),
   (1) È un'osservazione di De Sanctis ne' suoi Saggi critici.
   (2) Storia della Leti, italiana, pag. 323 e segg., Napoli, Morano, 1870.