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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   IL RISORGIMENTO.
   Ognun gridi, com' io grido Sempre pazzo, pazzo, pazzo.
   Il popolo fiorentino che aveva dianzi cantato i gentili versi del Poliziano, adesso nel suo oelirio religioso ne cantava di barbari e strani come i seguenti del Beni-vienì stesso, in cui è scritta la ricetta per iniziarsi alla Sacra Pazzia:
   To' tre once almen di speme Tre di fede e sei d'amore, Due di pianto, e poni insieme Tutto al foco del timore;
   Fa di poi bollir tre ore; Premi, in fine, e aggiungi tanto D'umiltade e dolor, quanto Basta a far questa pazzia.
   Questi deliri non potevano durare. Il fervere religioso, portato così all'esagerazione, era effimero, perchè in fondo alla coscienza del popolo viveva in realtà un tutt' altro spirito. L'azione del Savonarola non rimase però senza efficacia del tutto. Una maggior solennità di pensieri e d'affetti si era indotta negli animi; le guerre e le sventure che piombarono su Firenze e sull'Italia e in cui i Piagnoni vedevano verificarsi le predizioni di fra Girolamo, avevano fatto cessare la spensierata allegria dei tempi del Magnifico. Il popolo fiorentino, dopo il supplizio del Savonarola , era bensì tornato a ripigliar 1' uso carnevalesco de' suoi Carri e Trionfi, ma questi, al pari dei Canti che per siffatte occasioni venivano scritt da uomini come Jacopo Nardi, Bernardo Ruccellai e Nicolò Macchiavelli, s'informavano ad una grande serietà e moralità di concetti e d'iinagini (1). Talvolta nel Trionfo e nel Canto sentivasi lo spirito severo e minaccioso del Savonarola. Nel carnovale del 1511 (un anno prima che l'esercito spagnuolo rimettesse in Firenze i Medici esiliati) i fiorentini asistettero ad un' inatteso e spaventevole spettacolo. Per le vie piene di popoli si vide avanzarsi un gran carro tirato da bufali, tutto nero e dipinto d'ossa di morti e di croci bianche, e una Morte grandissima n cima con la falce in mano, e in giro molti sepolcri col coperchio, i quali s'aprivano in tutti quei luoghi che il trionfo si fermava, e ne uscivano alcuni vestiti di tela nera sopra la quale erano dipinte tutte le ossatura di morti colle braccia, petto, rene, e gambe. Questi morti, al suono di certe trombe sorde e con suono roco e morto, uscivano mezzo di quei sepolcri e sedendovi sopra cantavano in musica piena di malinconia questa canzone:
   Dolor, pianto, penitenza, Ci tormentan tuttavia; Questa morta compagnia Va gridando: penitenza!
   Morti siam, come vedete, Voi sarete come noi: Fummo già come voi siete, Così morti vedrem voi: E di là non giova poi Dopo il mal far penitenza.
   Ancor noi per Carnevale Nostri amor gimmo cantando,
   (1) V. la Raccolta di Trionfi, Carri, Mascherate e Canti Carnascialeschi fatta dal Lasca, Firenze I5b9