CAPITOLO QUARTO. — RINNOVAMENTO DELLA LINGUA, ECC. 189
madre, e che passò alla posterità tristamente famoso per inettitudine e ferocia. Soltanto noteremo che le belle glorie militari e politiche di Francesco Sforza, furono seguite da dieci anni di estorsioni, di atroci libidini, e di scelleraggini nefande. Quando Galeazzo Maria fu tolto di vita dal ferro dei congiurati (1470), la saggezza e la moderazione ricomparvero per alcuni anni colla reggenza di Bona di Savoja, madre del giovane duca Gian Galeazzo; ma l'intrigo pose poco di poi il Ducato di Milano nelle mani di Lodovico il Moro, il principe che la posterità fece per molta parte responsabile dell'invasione straniera in Italia. — E nemmeno Alfonso il Magnanimo ebbe in Ferdinando suo figlio un successore che continuasse le tradizioni paterne, ed accrescesse riputazione e splendore al reame di Napoli. Crudele, avaro, di mala fede, re Ferdinando non seppe sventare e reprimere le congiure e le ribellioni continue de' suoi sudditi, se non colle simulazioni, coi tradimenti e colle perfidie. Di qui un odio profondo dei Napolitani per gli Aragonesi, odio che aumentò anziché cessare sotto Alfonso, non migliore di Ferdinando a cui successe, e che s rivelò alla venuta di Carlo Vili, quando i baroni e il popolo del Regno abbandonarono nella sventura i discendenti di Alfonso il Magnanimo, aprendo al re francese le porte delle loro città senza colpo ferire. — In Firenze, Piero de' Medici, succeduto a Cosimo, debole di corpo e di mente, abbandonò la sovranità di cui egl' e il padre suo avevano spogliato la repubblica, in mano a partigiani di sua famiglia, i quali, facendola stroniento di lor particolari guadagni e vendette, la vituperarono tanto, e tante ire destarono contro l'uomo in cui nome essi operavano, che il potere fu sul punto di sfuggire dalle mani dei Medici. Piero, infatti, lasciava morendo, tale uno stato d cose che la supremazia medicea, su Firenze sarebbe ita, se a ripristinarla non fosse venuto Lorenzo dei Medici (1469).
Questi ed altri principi che avremmo potuto accennare, signoreggiavano sovra un popolo indifferente ad ogni vita politica. Le libertà erano dovunque cadute; il popolo delle repubbliche italiane del medio evo, aveva fatto luogo ad una ricca borghesia, che viveva tutta occupata nei piaceri del senso e della cultura — e ad una plebe infinita, che vegetava nell ignoranza e nella superstizione, passivo stroniento alle ambiziose m.re dei potenti. Allo smarrirsi della coscienza politica s'accompagnava intanto il decadimento dello spirito militare. Gli Alberico da Barbiano, gli Sforza, i Braccio di Montone, non avevano più successori degni di loro; il Piccinino, l'ultimo di quella battagliera generazione d:1 condottieri della prima metà del secolo XV, moriva strozzato per ordine d' Ferdinando re di Napoli. Abbandonate le armi, ai fragore delle battaglie succedettero i silenziosi intrighi e le doppiezze di un' astutissima diplomazia.
Non è a dire che i sensi magnanimi di libertà e la vigoria dell' animo fossero per ciò spenti ili tutti gl'Italiani, chè v'ebbero in questo periodo degli animosi, i quali sdegnando il giogo che pesava sul loro paese, tentarono con generosa audacia di scuoterlo. Ma i loro erano sforzi isolati, tentativi che andavano a vuoto in mezzo all'indifferenza politica del maggior numero. E in vero quali furono gli effetti delle molte congiure ricordate dalla storia di questo periodo? Se noi ci facciamo a considerare a che cose sieno riuscite quelle che ebbero per iscopo il ristabilimento della libertà (chè non tutte ebbero questo scopo), troviamo che altro effetto (la esse non nacque fuor quello di viemeglio rassodare la tirannide e renderla più crudele. Tre gentiluomini milanesi, Andrea Lampugnano, Girolamo Olgiat e Carlo Visconti, inspirati alle antiche memorie di Roma repubblicana, videro nel duca Galeazzo Maria Sforza un nuovo Tarquinio, e un giorno formarono l'audace disegno di toglierlo di vita, e di chiamare il popolo a libertà. Il duca cadde sotto i loro pugnali (26 dicembre 1476), ma il popolo non rispose al loro grido di libertà, e li abbandonò alla morte. — Bernardo Nardi, un fiorentino esigliato da Piero de'Medici, pensò d'impadronirsi di Prato, onde fare di questa città un centro di ribellione, contro i Medici. Ajutato da un centinajo di congiurati, egli sorprese Prato, e percorse le vie della città, chiamando il popolo all'armi (6 aprile 1470). Ma il popolo rimase sordo all' appello, e il Nardi e i suoi compagni, caduti prigionieri,