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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo terzo, «•>- svolgimento dell'erudizione. 185
   1- antica civiltà in confronto alla attuale e a quella dei secoli di mezzo. Il Valla invitava gl'Italiani a liberare la cultura latina dalla barbarie, come Camillo aveva un tempo liberato Roma dai Galli. Nè effetti di questa esaltazione per 1' antichità erano soltanto lo sbattezzarsi che facevano gli Accademici per assumere un nome latino, o 1 introduzione di riti e di feste pagane nei loro convegni ; s'andava anche più in là. Pur mantenendosi nelle forme esterne cattolici ed ossequenti alla Chiesa romana, alcun, dotti m cuor loro vagheggiavano strani rinnovamenti della religione pagana, come vedemmo in Gemisto Pletone, o prendevano il Cristianesimo per una trasformazione del Paganesimo, come insegnava Pomponio Leto nell'Accademia romana ; altri attaccavano già direttamente il dogma cattolico, sostenendo che questo riposava pi» presto sopra l'astuzia di certi santi, che sopra testimoni! veraci delle cose; altri, infine, senza spingersi a questi accessi di paganismo e d'incredulità, nelle loro dottrine modificavano il cristianesimo in guisa da uscire dell' ortodossia e attirarsi le punizioni dell'inquisizione. Questo ci appari nel Valla, questo apparisce in Galeotto Marzio, un dotto medico da Narni, il quale sosteneva che chiunque vivesse secondo i lumi della ragione e secondo la legge di natura avrebbe ottenuto l'eterna felicità, nè per accuse o condanne si ritrattò mai (1).
   Ma l'opposizione al Medio Evo non è mestieri cercarla in questo o quell'erudito, perocch'essa esali, per dir così, da tutta la coltura del periodo letterario che trascorremmo, cultura in cui lo spiritualismo mistico del Medio Evo è soverchiato dall'antichità e dalle predominanti tendenze dello spirito italiano al terreno, al reale, alla vita pratica.
   È però da notare che siffatte tendenze e siffatta opposizione non sorgevano ingenerate unicamente dallo studio dell' antichità. Chi ben guardi la storia nostra troverà eh' esse sono il risultato dello svolgimento proprio ed intimo della coscienza italiana: l'antichità le favorì, le determinò, se vuoisi, ma per sè sola non le produsse. Infatti, già fin dai tempi del Boccaccio, per un concorso di circostanze religiose, politiche e sociali che noi tentammo a suo luogo di mettere in chiaro, seguiva una profonda mutazione nella coscienza italiana; questa trovò il proprio ideale realizzato nel Decamerone. Or, che cos'è il Decamerone1? E il sentimento del reale, esistente in fondo allo spirito della schiatta italiana, che rompe e dissipa le tenebre del misticismo, e ravvia il pensiero all'esperienza e alla poesia della vita terrena; e l'indifferenza profonda per tutti i motivi e i fini del Medio Evo che si pone in luogo delle grandi ed ardenti passioni dei contemporanei di Dante; è il mondo
   (1) Galeotto Marzio, chiamato talora Galeotto da Narni per essere egli nato nella città di questo nome, studiò medicina nell'università di Padova, dove insegnò poi umane lettere per trent'anni. — A cinquantatrè anni passò in Ungheria alta corte di Mattia Corvino (1458-1190) onde istruirvi, pare, Giovanni figliuolo naturale di Mattia. Ivi scrisse due libri De homine, nel primo dei quali descrìve i membri esterni dell'uomo, nel secondo gl'interni aggiungendovi riflessioni fisiche, mediche ed anche astrologiche. Il Marzio, mentre stava alla Corte di Mattia Corvino, scrisse anche un'altra opera intitolata: De incognitis vulgo che non è mai stata data alle stampe, ma di cui se ne conserva copia nella biblioteca imperiale di Parigi e in quella reale di Torino. In quest' opera si tratta di molte quistioni teologiche, e nella copia che si trova in Tonno, si veggono aggiunte in margine alcune note, in cui il copista, o chiunque altro, riprende il Marzio di eretiche opinioni. — Galeotto sosteneva che chiunque vivesse secondo i lumi della ragione e della logge di natura avrebbe conseguito l'eterna felicità. Fu perciò accusato dai monaci e condannato al carcere in Venezia. — Tornato in Italia, egli scrisse un'opera: De doctrina promiscua in cui tratta quistioni mediche, fisiche ed astronomiche, ed una storia: De dictis et factis Mattiae Regis, dedicata a Giovanni figlio di re Mattia. — Pare che Galeotto sia morto assai vecchio (certo dopo il 1488) in Montagnana presso Este. Nelle sue opere c'è molta erudizione, ma poca arte nello scrivere e molta astrologia giudiziaria (Vedi: Tiraboschi, Stor. della lett. ital., Tomo VI, Lib. II, Cap. II).
   Invernizzi. — Il Risorgimento. 24