CAPITOLO TERZO, «•>- SVOLGIMENTO DELL'ERUDIZIONE. 167
questo libro, scrisse al Panorraita commendando l'eleganza del suo stile, ma esortandolo nel tempo stesso ad essere per l'avvenire più delicato nella scelta de' suoi argomenti (1). «Debbo, egli diceva, per quell'obbligo di carità e di benevolenza, che ci è a tutti imposto, avvertirvi di rivolgere i vostri studi a più gravi e degni oggetti. L'età giovanile e la libertà, che talvolta si concede allo scherzo in quell'età, possono servir di scusa all'indecenza delle cose da voi sin qui pubblicate. Così Virgilio ancor giovinetto scherzò nella Priapea, ed altri non pochi dopo di lui composero dapprima versi lascivi che poi si occuparono in più severi e convenienti temi. Vene avverte Terenzio nostro così:
Jlaec aetas aliam vitam alios mores postulat
Ed è orma: tempo per voi d'abbandonare le lascivie e di trattar cose serie, onde dall'oscenità degli scritti non si argomenti alla disonestà della vita. Sapete pure non esser lecito a noi cristiani ciò che poteva scusarsi nei Gentili. Ma che vo io insegnando a chi forse è più savio di me? Voi stesso, ne son certo, convenite meco in ciò che lodo ed approvo, e per voi stesso conoscete ch'io v'esorto a più alte cose » (2). Il Panormita si scusò, citando l'esempio di molti antichi filosofi e poeti, ma infine anch'egli riprovò l'opera sua.
Hic focces varios Veneris, moresque prophanos.
Quos natura fugit-, me docuisse pudet. (3).
Finalmente Alfonso invitò il Panorinita a seguirlo; e quand'ebbe trionfato dei suoi nemici e conquistato il regno, lo condusse seco in Napoli, lo creò nobile di Seggio, Consigliere e Presidente di Camera, gli formò, in una parola, un'elevata e splendida posizione. Là, in mezzo ad una plejade dei più illustri eruditi italiani, tra il fasto e le deliz e della Corte Aragonese, il Panormita visse nell' intimità del suo protettore, da lui spesso incaricato d'importanti missioni e sempre studiando e scrivendo, finché pieno d'anni e di fama mori nel gennaio del 1471.
Le sue opere, tutte scritte in latino, sono notevol specialmente per questo riguardo ch'esse rivelano una cura costante ed amorosa della bella forma: ingegno poco profondo, ma limpidissimo, il Panormita ritrae tutto ciò che concepisce colle forme terse e lucide dell'arte antica. È questo il suo merito principale. Egli descrisse il trionfo d'Alfonso, ci lasciò le orazioni latino da lui recitate in qualità di legato ai Veneziani, ai Genovesi, al popolo di Gaeta, all'irnperator Federico III, oltre alcune tragedie ed alcuni poemi. (4) Finalmente rimane di lui un'opera storica importante, intitolata: De dictìs et factis Alplionsi regis, divisa in quattro libri. — Pochi libri meglio di questo valgono a rivelare la vita di un principe italiano del secolo XV. Leggendolo, noi riviviamo colla fantasia nelle sale della reggia aragonese di Napoli, e v' incontriamo Alfonso trionfante, amato, corteggiato, che divide il suo tempo fra le cure della politica, le caccie, i piaceri e i letterati. Intelligente, valoroso, ambizioso, splendido fino alla prodigalità, tu lo vedi volgere a
(1) Shepherd, op. cit., Cap VIII.
(2ì Riferito da Shepherd, Vita di Poggio, Cap. VIII.
(3) Versi del Panormita riferiti dal Corniani, loc. cit. — Due copie manoscritte dell' Ermafrodito si conservano nella Laurenziana, una terza nella Magliabecchiana in Firenze; una quarta ò nella Biblioteca Ambrosiana di Milano.
(4) Apostolo Zeno (Dissert. Voss tom. 1.) enumera le seguenti opere del Panormita . Alphonsi regis triumphus. — De rebus gestis Ferdìnandi regis. — In incoronatìone Federivi III imperatoris Oratio Romae habita 1452. — Ad Alphonsum Siciliae regem Oratio — Oratio ad Caetanos de pace. — Oratio ad Venetos de pace. — Epistolarum libri V. — Carmina. — Epistolae et Orationes. — Epistolarum et Carminum liber. — In Rodum poema. — Tragediae. — Commentarius in Plautum. — Elegiae. — De dictìs et factis Alphonsi regis, Libri IV.