CAPITOLO TERZO, «•>- SVOLGIMENTO DELL'ERUDIZIONE. 165
se non fra gli agi e le dovizie, e un ruvido cinismo clie sprezza tutto ciò che non è strettamente necessario alla vita, c'è di mezzo una dottrina la quale insegna ad usare con sobrietà e discrezione dei beni materiali della natura. La convenienza ed il pudore fanno agli occhi altrui gradevole la nostra condotta; la decenza degli atti esteriori testifica la concordia che regna nel nostro interno.
L'ideale del cittadino, tratteggiato dal Platina nel suo dialogo De optimo cive, è quale poteva uscire dalle condizioni morali e politiche dei secolo XV. L'ottimo cittadino è rappresentato da Cosimo de' Medici. In lui non c' è neppure l'indizio delle fiere passioni dei grandi difetti e delle severe Mrtii dei cittadini dell'antiche repubbliche italiane; del Medio Evo par che non viva nel Platina nemmeno il ricordo. L'ottimo cittadino dell'Accademico romano è un uomo pieno di varia cultura « che non ha vizii del popolo nè le virtù, che è accademico e cortigiano » (1). — L'O-pvsculum de hunesta volvpiale, per finirla, è in realtà una specie di trattato d'igiene, ma che aggirandosi molto intorno alla cucina e alle \ivande, valse al suo autore la taccia di volgare epicureo. Il Platina stesso temette d* essere ritenuto tale, e quando pubblicò il suo libro, volle nella prefazione diretta al cardinale Bo-verella prevenire il giudizio dei lettori e giustificarsi. « I blandimenti dei cibi, egli dice, mi si obbietteranno come ad uom ghiotto e vorace e che aumenta gli stro-menti e quasi ancora gli stimoli agli intemperanti ed ai viziosi. Dio volesse che questi facessero uso della mediocrità e della parsimonia di cui pregiasi il Platina! Non vedremmo oggi in Roma tanti crapuloni e bordellieri e parassiti e adulatori, diiigentissiin- indagatori di recondite Lbidini e male arti a soddisfacimento della ghiottoneria e dell'avarizia. Io scrissi intorno alle imbandigioni, imitando Catone, ottimo uomo, e Varrone, scrittore dottissimo, e Columella e Apicio, non per incitare i leggitori al lusso, mentre ne' miei seri iti ho procurato sempre di rendere il vizio odioso, ma per essere giovevole all'uomo ben nato e civile, il quale, anziché del lusso, va in traccia della salute e di una discreta lautezza » (2).
L'Accademia Romana si compose d'eruditi di varie città d'Italia. V'apparteii' nero, per citare 1 nome di alcuno frai pr incipali, Giovanni. Antonio da Capua, epperò detto il Campano, storico e scrittore di vario genere, Demetrio Marzio e Filippo Bonaccorsi. Quest'ultimo fu di S. Geminiano in Toscana, dove nacque nel 1437. In sua gioventù si trasferi a Roma, dove formò parte dell'Accademia di Poinpor io Leto, mutando il suo nome in quello di Callimaco Esperiente. Implicato cogl altri accademici nell' accusa di congiura e d'irreligione, egli si sottrasse colla fuga alle ire di Paolo II. Scampato ai pericoli di Roma, girò per un pezzo il mondo, rifugrandosi finalmente in Polonia, dove trovò splendido collocamento nella corte di re Casim.ro. Mori in Cracovia nel 1490. Rimangono di lui una Storia di re Ladislao, una Vita d'Attila e molte latine poesie inedite.
L'uomo però che divise con Pomponio Leto il primato nell'Accademia romana, e che insiem con questi diede un grande impulso allo studio delle cose antiche, fu senza dubbio il Platina, uno de' più eletti ingegni de' tempi suoi. — Nell'Accademia egu era da tutti tenuto in grandissima stima, e veniva paganamente chiamato Ponti/ex maximus ; un anno dopo la sua morte, Demetrio da Lucca, suo discepolo, gli fece celebrare magnifici funerali nella basilica liberiana, dov'era stato sepolto, e Pomponio Leto vi recitò un'orazione che è riputata come la più eloquente delle produzioni di questo illustre latinista.
Morti 1' uno dopo l'altro i suoi due più illustri rappresentanti, l'Accademia romana continuò i propri lavori, rivolti specialmente all'illustrazione dell'antichità di Roma e della Grecia. A misura però che noi ci avviciniamo al secolo XVI, vediamo seguire in essa quel che seguiva in tutti i cultori delle cose antiche: quello spinto fantastico, mistico, superstizioso, che dava vita e caratteri speciali all'eru-
(1) Settembrini, loc. cit.
(2) Riferito dal Cornìani, I secoli della lUter. ital., epoca 111, art. XXIV.