CAPITOLO TERZO, «•>- SVOLGIMENTO DELL'ERUDIZIONE. 157
a desiderare nessuna sorta di giocondità e soavità. » — Sottrarsi alle agitazioni della vita pubblica e privata, cercare le amene solitudini della campagna, le ville, i giardini, e quivi nella calma dello spirito scorrere il tempo in ozi lieti, studiando oppur ¦Mitalido tra uno stuolo eletto di amici — ecco 1 ideale di vita di un colto borghese fiorentino del secolo XV, tratteggiato dal Landino nelle sue Disputazioni Camaldolesi. Tuttavia c'è in fondo a questa vita di studi geniali e di tranquille contemplazioni qualche cosa che ondeggia indeciso, che non lascia la coscienza in pace, che sorge a quando a quando ad alterarné ed oscurarne la serenità. L'antica fede languiva nell'anima, e le astrattezze filosofiche tolte agli antichi non componevano una scienza che vi potesse essere sostituita, e che valesse a soddisfare i bisogni del cuore. In queste condizioni di spirito tutti facevano un po'come il Ficino; si abbandonavano a strane credenze, per le quali cercavano poi un ti colo di ragionevolezza o nel Cristianesimo o in qualcuno degli antichi sistemi filosofici. Noi vediamo infatti anche Cristoforo Landino cadere nelle superstizioni astrologiche. Nel commento alla Divina Commedia, là dove interpreta il Veltro allegorico di Dante, egli tira l'oroscopo della religione, e dalla congiunzione di Giove con Saturno argomenta che il 25 novembre 1484 avrà luogo una grande riforma della religione cristiana.
Tali erano i caratteri e le tendenze più generali del platonismo che il Landino recava nelle sue interpretazioni dei classici antichi e nella sua poetica. — Da tali insegnamenti il poeta veniva tratto lungi dalla realtà a vivere in un mondo astratto, dove l'uomo e la natura gli apparivano attraverso i libri dell'antichità, ma dove nel tempo stesso, vestendo ed adornando i suoi concetti di tutte le grazie tolte ai poeti di Grecia e di Roma, nasceva e svolgevasi in lui un sentimento squisito della bella forma, sentimento che solo sopravviverà nella sua coscienza, inspiratore delle sue opere.
Cristoforo Landino è il maestro d'una nuova generazione di eruditi latinisti. L'età del Guarino, del Poggio e del Filelfo è chiusa : questi uomini sommamente benemeriti avevano messo gl'Italiani sulla via di comprendere i classici, ma essi si erano fermati all'interpretazione ed ai commenti. Adesso i classici sono compresi; l'erudizione è straordinariamente estesa, e si vuol far di più; si vuole, per dirlo con Ranke, gareggiare cogli antichi nella lingua degli antichi.
Ecco quindi cominciare lo studio delle eleganze della lingua latina, e tutti i libri che, coinè quello del Valla, trattano di questa materia ottennere fra i dotti uno straordinario successo. D'indi in poi la prosa latina ancora un po'scolastica degli eruditi della prima metà del secolo XV, assume l'andamento di quella di Livio e di Cicerone; il loro rozzo verso latino si cangia in uno terso ed elegante, che sente lo studio delle forme di Orazio, di Virgilio e di Catullo. — I rivolgimenti che si erano operati nel pensiero si riscontrano, per tal modo, anche nell'uso della lingua latina. Imperocché a misura che noi vediamo scomparire gli elementi del mondo intellettuale e morale del Medio Evo, e che in quella vece vediamo estendersi e rinvigor rsi la nuova cultura classica, anche la lingua latina si riavvicina alla sua nativa purezza : il pensiero italiano paganizzato si metteva in armonia colle forme che gli erano più adatte. — Questi progressi nella lingua latina, validamente aiutati dal Landino, erano sul punto di raggiungere il loro più alto grado (1).
Nel 14G9 Angelo Ambrogino Poliziano era uditore nello studio fiorentino, dove seguitava le lezioni del Landino sulla poetica e l'oratoria, di Giovanni Argiropulo sulla filosofia aristotelica e di Marsilio Ficino sulla filosofia platonica. Aveva quin-
(1) Cristoforo Landino, oltre le opere già accennate, voltò in italiano la Storia naturale di Plinio e la Storia Romana di Tito Livio. Il Bandini (op. cit. voi. II.) dà il catalogo di molti altri suoi scritti editi ed inediti. Il Landino fu cancelliere della Parte Guelfa, e poscia anche segretario delia repubblica. Morì nel 1504.