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della Mirandola. «La posterità è stata però assai più severa, ed a poco a poco quella fama s'è andata oscurando: la sua vasta erudizione era, per verità, poco profonda, egli restava assai indietro al Poliziano nelle lettere, al Ficino nella filosofìa. Deila ventidue lingue che si vantava di conoscere, era così poco pratico che un ebreo potè vendergli sessanta codici come libri scritti per comando di Esdra, mentre non erano che la notissima Cabala; di alcune altre sapeva poco più che l'alfabeto. In italiano scriveva poi senza alcuna eleganza, e i suoi giudizi erano tanto malsicuri che egli fu di coloro i quali preferivano le poesie di Lorenzo a quelle di Petrarca e di Dante. Nondimeno molti erano i meriti di Pico.»Egli fu il primo ad allargare l'erudizione del suo secolo nelle lingue orientali che innanzi a lui non erano da alcune studiate, egli dette l'esempio di un'attività instancabile, spesa tutta nel culto delle lettere.; di un principe che rinunziava agli onori del suo grado per vivere da uguale fra gli studiosi» (1).
Mentre il Ficino ragionava co'suoi amici dell'Accademia e co'suoi scolari dello studio fiorentino dei misteri del divo Platone, e il Pico apriva alla fantasia degli eruditi un campo nuovo, — Cristoforo Landino, quasi anello di congiunzione tra i filosofi e i poeti e gli artisti dell'Accademia, faceva passare il platonismo nelle sue lezioni di poetica e d'interpretazione dei classici, iniziando così una scuola speciale di commentatori e di poeti.
Di nov'anni più vecchio di Marsilio (2), il Landino aveva cominciato i prò-prii studi in Volterra, ed era poi venuto a compierli nello studio fiorentino, facendovi tali progressi da sapere, benché giovanissimo, parlare il greco e 1 latino come se fosse cresciuto in Atene o in Roma. Il padre, povero di censo, volle che s' avviasse nella carriera della giurisprudenza, ed ei vi s'acconciò. Ma più che le Pandette amava i suoi libri greci e latini, più che le occupazioni del foro amava far versi, e quando taceva, la molesta turba dei litiganti, subito correva alle Muse.
Prot/'nus ad nosiras avidus me confero Musas> Quarum immortali pulsus amore feror (3).
Per fortuna sua fu conosciuto da Cosimo il Vecchio, il quale accortosi delle egregie doti della sua mente, lo accolse presso di sè, e lo colmò di favori. Un suo amore giovanile per una tale Alessandra gli aveva offerto 1' occasione di scrivere molte elegie latine, che gli avevano procurate fama di valente poeta, e che il Ficino lodò assai nei Prolegomeni al Convito di Platone (4). Datosi poi a studiare la filosofia antica e sovratutto Platone, Aristotile e gli stoici, al pari degli altri suoi contemporanei egli aveva cercato di armonizzare i dogmi filosofici di queste scuole colle dottrine cristiane. A quest'uopo, ancor giovane, pubblicava certi suoi Dialoghi sulla nobiltà dell'animo umano, che si conservano manoscritti nella Riccardiana di Firenze. In essi cercando l'origine dell'anima umana, aveva raccolto e compendiato
tobre 1499, moriva anche lui di febbre nella sua villetta di Carreggi. Aveva 66 anni. Fu sepolto nel duomo di Firenze. Il Poliziano aveva dettato per lui il seguente distico:
Mores, ingenium, musas, sophiamque supremam Vis uno dicam nomine ? Marsilius.
(1) Villari, op. cit. Lib. I, Cap. V.
(2) Cristoforo Landino era nato nel 1424. — Intorno a questo erudito, vedi specialmente Specimen lìtteraturae florentinae sreculi XV, ecc. d'Angelo Maria Bandini, Firenze 1748.
(3) Landini, Elegiae-Xandrae, Lib. I.
(4) Questa raccolta intitolata Xandrae è divisa in tre libri, ed è dedicata a Piero de'Me lici. Vedi in Bandini, op. cit., voi. I, p. 129, l'elenco di tutte le elegie di questa raccolta. In questo undecimo libro se ne trovano citati molti squarci ed alcune riportate per intero.