CAPITOLO TERZO, «•>- SVOLGIMENTO DELL'ERUDIZIONE.
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tempi suoi, se ne valse consapevolmente ; essi divennero per lui principii per combattere il passato e norme per la formazione di una nuova sintesi del sapere, sintesi più presentita che conosciuta, ma nella quale l'antichità classica doveva entrare per grandissima parte. E qui troviamo un altro carattere che distingue le tendenze intellettuali degli eruditi del secolo XV, e quindi del Valla. L' antichità, infatti, secondo l'autore delle Eleganze, rinata dopo tanti secoli d'obblio e liberata dalla barbarie (e intendeva dire dal Medio Evo) doveva continuare la propria vita, svolgersi insiem col pensiero moderno, servire di strumento per l'unità del mondo spirituale. Questo sentimento in niun luogo apparisce meglio manifestato che nelle sue opere filologiche. La lingua del pensiero colto doveva essere la latina ; il volgare italiano era riserbato alle plebi indotte e alle relazioni quotidiane della vita sociale. La lingua di Roma, restituita alla sua primitiva purità e grandezza e nuovamente estesa a tutto il mondo, era la forma che doveva accogliere ed esprimere il pensiero dei temili nuovi. — L' antichità ed il passato son cosi due mondi che si riconoscono fratelli e che debbono procedere di conserva. Era questa la base su cui doveva elevarsi l'edificio dell' avvenire.
2.
L' ACCADEMIA PLATONICA.
Durante i primi mesi del 1439, nel duomo di Firenze trovavasi raccolto il Concilio che doveva trattare della riunione della Chiesa greca colla latina. Fra i dotti greci mandati dall'imperatore bizantino a rappresentare la Chiesa orientale c'erano Giorgio da Trebisonda, Giorgio Scolario e Teodoro Gaza, tutti e tre seguaci della filosofia aristotelica; c'era il Bessarione, sostenitore delle dottrine platoniche ; e finalmente, per tacere di moltissimi altri, c'era Giorgio Gemisto detto Pletone, che a tutti sovrastava per dignità e dottrina. Quest'uomo, che fu dei maggiori ingegni e più pellegrini del tempo suo, era nativo del Peloponeso, e datosi di buon' ora agli studi, s'era fatta una grande riputazione come filosofo e come scrittore. Aveva modi gravi e tale una profonda conoscenza dell'antichità che oggi ancora leggendo i suoi scritti si direbbe non mancare a Gemisto ad essere uguale ai grandi scrittori greci, di quegli antichi, se non l'essere antico (1).
La dottrina filosofica da lui professata era la platonica, quale però essa veniva insegnata in Costantinopoli, mista cioè alle teoriche dei neoplatonici. In Grecia egli era il più illustre rappresentante ed il più valido sostenitore del platonismo ; ed appunto perchè, quasi novello Platone, disputava delle opinioni di questo illustre filosofo (2), al nome del suo casato, ch'era semplicemente Gemisto, fu aggiunto anche quello di Pletone. Del mondo dell' antica Grecia non solo ammirava la lingua e le dottrine, ma pare che ne accettasse eziandio, almeno in parte, le idee religiose. Infatti egli non celava la speranza di vedere rinascere una religione somigliante a quella dei Gentili, e innanzi di venire in Italia aveva scritto un' opera intitolata: De legibus nella quale, imitando Platone e mescolando le ipotesi di questo tilosofo con quelle degli Alessandrini, aveva tracciato il piano di una repubblica ideale, la cui religione, benché non fosse il politeismo volgare, era tuttavia un paganesimo conforme ai dogmi del sincretismo neoplatonico (3).
(1) Giacomo Leopardi. — Discorso a proposito di un' orazione greca di G. G. Pletone, e traduzione della medesima. — Citato da Villari, Storia di fra Girolamo Savonarola,
(2) Ficinn.
(3) Brucker, Hist. crii, philosophice, Tom. IV, Cap. Ili,