CAPITOLO TERZO, «•>- SVOLGIMENTO DELL'ERUDIZIONE. 135
vito con una' altra lettera, nella quale prometteva ad Abgaro dì mandargli un discepolo suo, però soltanto dopo la sua ascensione al cielo. Infatti dopo la morte di Gesù, Tommaso gli mandò Taddeo, uno dei settanta. Abgaro fu guar ito e convertito al Cristianesimo. Eusebio, il quale riputò genuine le due lettere di Cristo' e di Abgaro, le tradusse entrambe dal Siriaco, affermando d'averle rinvenute negli archivi di Edessa. La Chiesa Romana per altro ritenne apocrife e l'una e l'altra lettera. — Ora il Valla sentendo, in un punto contrastato, allegare da un vescovo una lettera apocrifa, rise del suo competitore come di quegli che credeva Abgaro fosse realmente esistito, e che non sapeva che i Decretali pongono queste lettere fra le apo-erfe. Ma il vescovo di Majorca, rimase molto offeso dell'opposizione incontrata, e abbandonò sdegnatissimo il Valla, del quale disse in seguito ogni male (1). — Toco dopo questo fatto un'altra disputa sopra cose di erudizione sacra, avrebbe avuto se-riissime conseguenze pel nostro critico, ove non fosse intervenuto in suo favore nientemeno che re Alfonso. — Predicava la Quaresima in Napoli un tal fra Antonio da Bitonto, il quale, come la maggior parte dei predicatori d'allora, era ignorantissimo, e sul pulpito copriva la sua ignoranza, dimenandosi a guisa d'un ossesso. Or un giorno costui predicando, disse tra l'altre cose che S. Gerolamo era romano, e che gli articoli del Sìmbolo apostolico erano stati composti in Gerusalemme uno per uno da cias-cliedun apostolo. Il Valla, pochi giorni dopo, si recò in compagnia d'un suo amico, a visitare il frate, allo scopo di sapere da lui dove mai avesse trovato scritto che S. Gerolamo era romano, e che il Simbolo degli Apostoli era stato composto nel modo ch'egli aveva affermato nella sua predica. Il frate rispose adducendo vagamente l'autorità dei Dottori della Chiesa, e alle obbjezioni fattegli, s'irritò cosi furiosamente e grottescamente che i due amici non poterono trattenere le risa, e alla fine lo lasciarono sfuriante tra i frati suoi compagni, accorsi allo strepito. — La sua vendetta non si fece però aspettar molto. Nella solennità di Pasqua, prop-io quando il tempio riboccava di fedeli, manifestamente alludendo al Valla, egli nvei contro un tale epicureo, eretico, nemico di Dio e della Chiesa, il quale osava negare che il simbolo apostolico fosse stato composto articolo per articolo, da ciaschedun apostolo, che sosteneva tre essere i predicamenti e non dieci, tre gl elementi e non cinque e simili altre cose. Nè si contentò di quella predica, ma continue' per altre tre o quattro volte ad inveire sullo stesso tono contro il Valla. Il quale, ritenendo d'essere in tal modo provocato ad una disputa pubblica, formulò le proposizioni riprovate da fra Antonio, e si dichiarò pronto a difenderle pubblicamente, scegliendo a quest'uopo l'aula di S. Maria dell'Incoronata, e invitandovi tutta la nobiltà, tutti i dotti di Napoli e lo stesso Ferdinando figlio del re. Venne il giorno stabilito, ed era già in pronto ogni cosa, quando un ordine di re Alfonso fece sospendere la disputa fino a che la salute permettesse anche a lui di assistervi. Era manifesta l'intenzione del re di troncar la quistione. Il Valla adunque non potè a meno d non acconsentire, ma il giorno appresso fece affìggere alla porta del tempio il seguente distico :
Rex pacìs miserans sternendas Marte phalanges Victoris cupidum continua gladium.
I suoi nemici non tollerarono questo trionfo. Collegatisi quindi col vescovo di Pozzuoli, portarono la quistione su un terreno più vasto e più pericoloso, e fecero citare il Valla dinnanzi al tribunale dell'Inquisitore. — Il Valla comparve, e provò che il simbolo apostolico non era altrimenti stato composto dagli apostoli, ma formulato dal Concilio di Nicea ; sostenne che le opinioni da lui espresse nei libri della Dialettica non avevano nulla a che fare coi dogmi, e da ultimo dichiaro d'essere interamente sottoposto ai dogmi della Chiesa cattolica. Fosse la forma energica, un po' pretenziosa e sempre aggressiva colla quale egli sostenne le sue opi-
(1) Vallae, AnHdotus in Poggium. Lib. IV, pag. 356.