CAPITOLO TERZO, «•>- SVOLGIMENTO DELL'ERUDIZIONE. 131
mendace Apollo (cioè Dio non può render sè stesso mendace), e non gli rimarra che dire: e che! non sono io forse dotato di libero arbitrio1? Al che Apollo farà osservare: — così è, o Sesto. Come Giove creò rapace il lupo, timida la lepre, animoso il leone, così diede ad alcuni uomini duro animo, ad altri medie e pieghevole ; gli uni generò propensi al delitto, gli altri alla virtù. A te dava animo malvagio, e quindi tu farai cose malvagie, e per queste egli ti condannerà. Così giuro per la Stigia palude. — Certamente in tal modo la colpa risale a Giove, e Sesto avrà diritto di rispondere : — Dunque Giòve condannerà in me il suo delitto, chè egli solo è reo. Qualunque cosa io sarò per fare, la farò necessariamente e non liberamente. Come potrò io oppormi alla sua volontà1? —
Con questa favola il Valla ha voluto rappresentare distinte la sapienza (Apollo) e la volontà (Giove), potenze in Dio realmente inseparabili, per distinguere poi la Prescienza dalla Provvidenza. Se non che, rispetto a quest'ultima, il problema dei rapporti della Ubertà umana con Dio, ad un tratto cangia d'aspetto, e si presenta un mistero inesplicabile per la ragione umana. Ammesso che la prescienza non nega la libertà umana, si domanda poi come questa si concilii cogli immutabili decreti della volontà divina. Il Valla dichiara che la ragione umana non sa fare questa conciliazione. Non si cerca più perchè Dio preveda, chè questo si capisce; Dio prevede perchè la cosa sarà così e cosi: ma si domanda perchè Dio stabilisca che così sarà, si cerca quale sia il motivo per cui Dio d'uno abbia misericordia e incrudelisca contro un' altro. Qui, dice il Valla, noi dobbiamo abbandonare le speculazioni dei filosofi, ed accettare i responsi della fede ; affidarci non a Boezio, ma a San Paolo, il quale risponde colla incomprensibilità delle vie del Signore, coli' ammirazione della sapienza divina. Credendo Dio ottimo e sapientissimo, giudicheremo buone le ragioni che lo determinano ad aver misericordia d'un uomo e d'un altro no; credendolo giusto, diremo che, co' suoi decreti, egli non distrugge la nostra libertà. Cristo disse di voler salvi tutti gli uomini, e di non volere la morte al peccatore. Crediamo adunque nella sua parola, ma non tentiamo di andare più in là colla nostra ragione ; sarebbe opera vana e pericolosa.
Nei libri del Vero Bene e nel Dialogo sul Libero arbitrio si notano due cose, cioè : un opposizione costante alla filosofia d'Aristotile, e un' avversione decìsa per tutte le forme dialetticali della Scolastica. Il Valla coglie tutte le occasioni per combattere il filosofo prediletto dei Medio Evo, e per mettere a nudo le vacue o capziose argomentazioni della logica delle scuole. Libero intelletto, egli non poteva tollerare nessun dominio tirannico sullo svolgimento del pensiero ; avido di realtà e di verità non si poteva piegare ai cavilli e alle forme convenzionali della dialettica dominante nelle scuole; educato alla bella forma classica sentiva sdegno del barbaro gergo della scolastica. Per ciò dai problemi morali, passò ad argomenti dialettici, e scrisse tre libri di Dialettica, allo scopo di combattere Aristotile e la logica degli scolastici (1).
Pitagora, dice il Valla, chiamò se stesso filosofo e non sofo, perchè egli credeva che l'uomo non può raggiungere la sapienza, come non può raggiungere la Felicità e la Beatitudine. Però da lui in poi niuno s'intitolò sofo, cioè sapiente, ma filosofo, cioè amatore della sapienza. E i filosofi si trovarono liberi nel dire coraggiosamente quel che pensavano, non solo contro il capo delle altre scuole, ma ancora contro il capo della propria. Ond' è che non sono da tollerarsi gli attuali peripatetici, i quali negano la libertà di dissentire da Aristotile, quasi sia questi il sofo e non un filosofo, e che nessuno abbia mai dissentito da lui. In Grecia vi furono scuole diverse dalla aristotelica anche dopo Aristotile; Teofrasto stesso, scolaro delle Stagirita, dissentì non timidamente dal suo maestro. Fra i latini Varrone non fu Aristotelico, ma si tenne fra Platone ed Aristotile; Cicerone fu di preferenza pla-
(1) Diale»cticarum dispai atto-aura, Libri III. — In Vmlae opera, ediz. cit.