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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO TERZO, «•>- SVOLGIMENTO DELL'ERUDIZIONE. 125
   L'anima umana è dotata d'un doppio ordine di facoltà; le une si riferiscono al conoscere, le altre all'operare. I sensi, la memoria e la ragione appartengono al primo ordine. Queste facoltà percepiscono le cose, ne giudicano, e da esse procedono le discipline e le arti tutte, non che la Prudenza (la sapienza di Platone), virtù che a tutte le altre sovrasta, e che non consiste in altro che nella cognizione del bene e del male. La volontà, che è capacità di ricevere piacere o dolore dalle cose, e che si determina come amore del bene (piacere) ed odio del male (dolore), appartiene al secondo degli ordini sovraccennati di facoltà. Da essa procedono l'affetto, il desiderio, il timore del futuro, la voluttà (piacere) e la molestia (dolore) del presente; benché sia da notarsi che nel desiderio c'è qualche poco di piacere, e nel timore molta molestia; e che piacere e dolore c'è anche nelle cose passate, richiamate dalla memoria. — Ad onta di questa dualità, l'anima umana è però una, e non c'è una parte di essa signora e l'altra ancella. — Gli affetti si chiamano Virtù o Vizi, a seconda che seguono o no la ragione. La Virtù adunque procede dalla volontà, e al pari di questa consiste nell' amor del bene e nell' odio del male (1). Niente si fa di bene o di male se non centri l'affetto, e nient'altro che 1' affetto merita lode o biasimo. Segue da ciò che delle quattro virtù annoverate da Platone (sapienza, temperanza, fortezza e giustizia) soltanto le tre ultime sono virtù perchè sono affetti; la sapienza non è virtù; virtù è il vivere secondo i precetti della sapienza; non è il conoscere il bene che sia degno di lode, ma l'amarlo, il volerlo (2). — La virtù è riposta nella volontà e non nell' azione, chè questa si loda o si biasima in causa del volere; la volontà è lodevole o biasimevole anche senza l'azione. — È a torto che si fa della virtù un'abitudine costante. Le abitudini, come la scienza e l'arte, lentamente si acquistano e difficilmente si perdono; ma le virtù, che sono affetti, prontamente e si acquistano e si perdono: il ladrone che moriva accanto a Cristo ad un tratto si fece santo. Ciò per altro non toglie che le virtù si possano confermare e rafforzare coli'uso; ma altro è confermar la virtù, altro è acquistarla; l'acquisto si fa d'un tratto, ma la conferma si consegue gradatamente, e i gradi delle virtù sono moltissimi. — È parimenti a torto che si dice la virtù consistere in un medio fra due estremi. Imperoochè, anzitutto, il medio fra duo estremi non è qualche cosa di semplice e d'uno, ma i medii sono molti, e però gli estremi si oppongono non ad un medio solo, ma a più medii. Fra l'avarizia e la prodigalità, non c'è soltanto la liberalità, ma anche la parsimonia, la qual certamente è una virtù; fra la codardia e la temerità non c'è soltanto il coraggio , ma anche la cautela. Ponete che uno, cammin facendo, s imbatta nei ladri, e fugga nella selva vicina alla strada. Costui, di certo, ha fatto bene. Ponete ancora che lo stesso individuo, internatosi nel bosco, e aflatticato per la lunga corsa, sia tratto dall' amenità d'un luogo a riposarvisi, e s' addorma sotto un bel platano tra il profumo dei fiori e il canto degli uccelli. Certo nessuno potrà biasimarlo per questa sua.azione. Eppure quest'uomo non si può chiamare nè forte per la sua fuga, nè temperante per il riposo ed il sonno. Imperocché non è forte eh fugge, ma chi non fugge il pericolo; non è temperante chi gode di piaceri leciti, ma chi tra i piaceri sa dominare sé stesso. Or s'egli non è nè forte, nè temerario, nè codardo, nè temperante, nè intemperante, nè stupido, e se tuttavia la sua azione non è del genere delle indifferenti (come alzar la mano parlando), ma anzi è buona, noi dovremo riporla fra le virtù, e chiamarla con un nome nuovo. Ora, colui che non si espone temerariamente al pericolo, ed ove occorra lo fugge, s chiama cauto e non forte, e la cautela è una virtù che non entra nel genere della fortezza (coraggio). Colui poi che gode di piaceri leciti si chiamerà lieto, contento {hilarem), ma non temperante (H). Pertanto la codard ia e la temerità (
   estremi) non si oppongono soltanto al coraggio (medio), ma anche alla cautela e a tutti quegli
   (1) Virtus est voluntas sive amor boni, odium mali. — Dialectica. Lib. 1, Cap. X.
   (2) Dialectica, loc. cìt.
   (3) De Vero Bono, Lib. Ili, Cap. 2.