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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo terzo. — svolgimento dell'erudizione. 107
   denza. Nelle opere di questi ultimi, diceva il Valla, tu non sai se sieno maggiori e maggiormente degne di lode la diligenza o la gravità, la prudenza o l'equità, la scienza delle cose o la venustà del discorso; ma nelle opere degli attuali giuristi ti movono a stomaco la farragine incondita delle glosse e delle distinzioni, la capziosità del ragionamento, la barbarie dell' elocuzione. Bartolo, poi, ignaro com' è della lingua latina e cavilloso, travolge il senso delle leggi romane, talora per ignoranza, ma talora anche per malignità, e nel libro De Insigniis mostra che non sa parlare sapientemente della figura, della posizione, del valore degli stemmi. — Alcuni anni dopo nella Prefazione al libro III delle Eleganze, parlando della grandezza scientifica e letteraria degli antichi giurisprudenti romani, il Valla formava voti perchè sorgesse chi liberasse i loro libri dagl'interpreti, ch'ei chiamava Goti e Vandali; ma, soggiungeva poi, senza gli studi d'umanità, i cultori del diritto non potranno raggiungere il loro scopo, e piuttosto che a giureconsulti somiglieranno a legulei. La sola disciplina che oggi rimanga ornata ed aurea è il diritto civile antico. Il diritto dei Pontefici, che chiamano canonico, è per la massima parte gotico; i libri dei filosufi non si capiscono nè dai Goti nè dai Vandali ; la Retorica non insegna che a parlare goticamente. La sola scienza del diritto rimane ancora inviolata e santa, quasi rupe Tarpea nella città messa a ruba. Ma anche questa i Goti, sotto sembianze d'amicizia, guastarono ed abbatterono, e continuano a guastare e ad abbattere. Noi tutti però dobbiamo accorrere in sua difesa, e tentar di riguadagnare tutta la città. Per la quotidiana lettura dei Digesti la lingua latina rimase sempre in qualche parte incolume ed in onore, e in breve riavrà la sua dignità e la sua grandezza (1). — Tornare alle sorgenti antiche del diritto, prepararsi collo studio della lingua e della storia di Roma ad interpretare convenientemente i monumenti della sapienza civile dei Romani, liberare lo studio delle leggi da tutto quel vano e capzioso formalismo scolastico che lo ingombrava, e formare l'educazione giuridica degli Italiani sui testi antichi ridotti alla loro nativa grandezza, ecco le ragioni che movevano il Valla a combattere con tanta acerbità di forme i giuristi del suo tempo.
   La lettera che il Valla pubblicò in Pavia offese la suscettibilità di quegli uomini, ed eran molti, che degli apparati dialettici, delle glosse, delle distinzioni dei commentatori del Medio Evo, se n'erano formate altrettante delizie: il combattere Bartolo, il principe dèi giuristi d'allora, parve a loro atto di somma e colpevole irriverenza. Però si scatenarono contro 1' audace critico, aizzandogli anche contro la scolaresca, la quale un giorno lo assali, e l'avrebbe messo in pezzi, se non si fosse giunti in tempo a strapparglielo dalle mani. Ad onta di ciò egli rimase in Pavia, finché la peste, che scoppiò poco dopo, obbligò lui e gli altri professori e gli scolari ad abbandonare l'università.
   Quel che seguisse del Valla dopo la sua partenza da Pavia (1431), e durante alcuni anni, è molto incerto. Alcuni dicono cli'ei fu professore a Milano ed a Venezia. « Di questo due città, cosi il Tiraboschi, non trovo menzione alcuna nelle opere del Valla, trattone il cenno eli' ei fa una volta d' aver parlato in Milano con Raffaele Adorno professore di legg< in Pavia e poscia Doge di Genova (2). Ben veggo che egli accenna d'essere stato in Firenze, mentre eravi anche Antonio Panormita (3), ma non si spiega se vi fosse pubblico professore o per altra occasione » (4). È probabile che, verso quest'epoca, il Valla fosse conosciuto da Alfonso d'Aragona, poiché egli stesso dice d'aver seguito questo re nelle guerre combattute dal 1435 al 1442 per la conquista del reame di Napoli (5). Quel che poi si può porre fuor di dubbio
   (1) Elegantiarum, Lib. III. Praefatio.
   (2) L. Vallae, In Barptolomoeum Facium recriminai. Lib. I, pag. 462, ediz. di Basilea 1543.
   (3) Valla, op. cit., Lib. IV, pag. 620,
   (4) Tiraboschi, Lett. ital., Lib. III, cap, V.
   (5) Antidutus, Lib. I, pag. 273.