Stai consultando: 'Storia Letteraria d'Italia Il Risorgimento', Giosia Invernizzi

   

Pagina (118/380)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (118/380)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   (52 il risorgimento.
   dentro nella conoscenza dei classici, che aveva già scritto un libro in cui paragonava Cicerone a Quintiliano (1), dando la preferenza a quest' ultimo, contro l'opinione allora universalmente accettata dagli eruditi, — questo giovane, dico, dispiacque assai a quella società d'uomini riverentissimi all'autorità. E però quando nel 1430 egli chiese il posto di segretario apostolico, rimasto vacante nella curia per la morte di suo zio, essi brigarono tanto presso il Pontefice Martino Y, finché gli venne negato (2). Dopo questo rifiuto il Valla lasciò Roma, e si recò a Piacenza, allo scopo di raccogliervi un'eredità, toccatagli per la recente morte dell' avo e dello zio. In Piacenza seppe della morte di Martino V, della elezione di Eugenio IV, e dai torbidi eh' erano scoppiati in Roma fra Orsini e Colonnesi. Rinunciò pertanto all' idea del ritorno, e in quella vece da Piacenza passò a Pavia, dov' ebbe la cattedra di Rettorica (1431).
   Nell'Università di Pavia insegnava giurisprudenza un discepolo del celebre Bartolo, e gli scolari traevano in folla ad udirlo — Bartolo, le cui dottrine giuridiche dominavano allora nell'insegnamento e nella pratica forense, apparteneva a quella scuola di giuristi, che gli storici del diritto romano, chiamano degli scolastici, perchè applicarono alla giurisprudenza i metodi dialettici praticati nelle scuole filosofiche del Medio Evo. Non ispetta a noi dire il posto che il Bartolo deve occupare nella storia del diritto romano. Gli storici, insieme a molti suoi pregi, annoverano però anche molti difetti, tra cui anche quelli, che fin dal secolo XV, diedero più nell'occhio al Valla. E sono: una grande ignoranza della lingua e della storia di Roma, una enorme quantità di distinzioni e suddistinzioni, che stancano l'intelligenza e rendono vani ed aspri i suoi scritti, uno strano abuso della dialettica scolastica nell'interpretazione delle leggi, che crea una giurisprudenza acuta e flessuosa comodissima ai cavilli forensi, e finalmente una tale barbarie di linguaggio da digradarne la scolastica (3). Figuriamoci ora se il Valla, eruditissimo nelle istorie di Roma, dottissimo di latino e delle eleganze di questa lingua, ammiratore delle forme grandiose, sintetiche, armoniche adoperate dagli antichi giurisprudenti romani, poteva tollerare che si chiamasse coi nomi di luce, di stella, di Apollo Pitio della giurisprudenza un uomo come Bartolo, che mal sapeva interpretare i testi delle antiche leggi di Roma, che travolgeva spesso il significato delle parole latine colle sottigliezze e coi sofismi della Scolastica. E dal Bartolo passando a tutti gli altri giurisprudenti, pensiamo se egli poteva permettere si levassero a cielo, e s'intitolassero continuatori della sapienza giuridica di Roma, glossator come quelli della scuola di Accursio, che interpretavano Pontifex colle parole Papa o episcopus, che derivavano il nome di Tiberis, dato al gran fiume di Roma, dall'Imperatore Tiberio, che facevano Papiniano messo a morte da Marc'Antonio, e che commettevano altri moltissimi errori di simil genere. Il Valla prese dunque a combattere il Bartolo ed i giuristi in nome della lingua latina, del buon gusto, del buon senso, della giurisprudenza antica e della scienza giuridica stessa. — Un giorno, in Pavia, uno tra i moltissimi entusiasti del Bartolo, parlando col Valla, trascorse in lodi esageratis-sime del dotto giurista, sostenendo che un libro di questi sull' araldica intitolato De Insigniis et Armis, superava di gran lunga le migliori opere di Cicerone. Bastava anche meno di questo per decidere il Valla alla lotta. In una sol notte stese una confutazione del libro di Bartolo, che gli era stato tanto lodato, dandovi la forma di una lettera diretta a Pier Candido Decembrio (4). Chiamò Accursio, Baldo, e Bartolo oche in confronto ad Ulpiano, a Sulpizio a Scevola, i cigni della giurispru-
   (1) Valla, loc. cit.
   (2) Valla, loc. cit.
   (3) Vedi: Gravina, De origine juris civilis.
   (4) In Bartoli, De Insigniis et Armis libellum, ad Candidum Decembrem epistola. — Vallae, opera, ediz. cit.